La strada per l’integrazione razziale passa per lo spazio. Perlomeno alla Nasa, dove si lavora febbrilmente per recuperare il primato dell’esplorazione del cosmo, guastato dalle imprese spaziali sovietiche. A calcolare numeri indispensabili per lanciare l’uomo tra le stelle c’è l’infallibile Katherine (Taraji P. Henson), genio della matematica con il problema del colore della pelle. È il 1961 e la divisione tra bianchi e neri è ancora da abbattere ma quando le cifre sono giuste non c’è razza che conta.
Il diritto di contare racconta storie di figure “nascoste” dalla Storia (Hidden Figures è il titolo originale del film) ma indispensabili per eventi che hanno cambiato il mondo (senza Katherine Neil Armstrong non avrebbe mai posato il piede sulla luna), donne in grado di lottare per i propri diritti e per affermare le loro indiscutibili capacità: oltre a Katherine il film racconta delle sue inseparabili amiche Mary Jackson (Janelle Monée), prima afroamericana a diventare ingegnere, e Dorothy (Octavia Spencer), programmatrice IBM, mentre Kevin Costner, a comando dell’ente, fa sgobbare duro i suoi per arrivare al risultato e il capo del personale Kirsten Dunst deve superare pregiudizi.
Film asciutto, scorrevolissimo, coinvolgente, con un terzetto di interpreti ben amalgamato. L’America degli anni ’60 segue con trepidazione le orbite dell’astronauta John Glen ma mentre l’eroe spaziale svolazza sopra le teste, a terra si allargano gli orizzonti, si buttano giù inutili cartelli colored. Non c’è solo lo spazio da esplorare, ma anche il mondo che ci circonda, così pieno di sorprese, come quelle che fanno sgranare gli occhi a fior di matematici quando Katherine, gesso in mano, si produce in irresistibili “balletti di cifre” e giusti calcoli.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani