A okigahara è il nome di una grande foresta giapponese ai piedi del Monte Fuji, tristemente nota per essere luogo scelto da chi vuole farla finita: chiamata anche “il mare degli alberi” ( Sea of Trees è anche il titolo originale del nuovo film di Gus Van Sant, in italiano La foresta dei sogni) la folta foresta è da un lato paradiso per escursionisti e naturalisti, dall’altro “inferno” (anzi “purgatorio” come viene ricordato nel film) per i suicidi. Tra gli alberi arriva un americano (Matthew Mc Counaghey) pronto a compiere l’estremo gesto e scrivere la parola “fine” su una vita contrassegnata da eventi dolorosi, come scopriamo dai flash-back che ci rivelano la sua non facile relazione con la moglie (Naomi Watts) e i drammatici sviluppi del loro matrimonio. Ma tra gli alberi l’uomo incontra un orientale (Ken Watanabe), intrappolato in quel bosco che sembra voler racchiudere chi vi entra. Tra i due nasce una solidarietà che si trasformerà in una ricca esperienza umana con esiti imprevedibili.
Fischiato al Festival di Cannes 2015, La foresta dei sogni è invece film che offre diversi spunti d’interesse, con i tre attori protagonisti di performances di buon livello e passaggi filosofici, misteriosi e spirituali che lo rendono attraente, pur con qualche passaggio più prevedibile soprattutto nei flash back.
Per ritrovare la via per Van Sant necessita una situazione di smarrimento, l’entrata in un luogo che funga da “stanza del recupero”, certo non facile, con tanti ostacoli. Ma serve anche una presenza di supporto, anche se agli antipodi della propria cultura e della propria esperienza: l’incontro con il giapponese tra gli alberi è segno di differenze culturali ma anche di confronto, per comprendere meglio le possibilità del ritorno alla vita.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani