Germania, 1958. La censura del paese di fronte alle atrocità perpetrate dal nazismo durante la Seconda Guerra Mondiale è solida e il paese preferisce non affidarsi ad una doverosa autocritica per non confrontarsi con lo scomodo passato. Ad alzare la cortina del silenzio è un giovane avvocato che passa dagli ordinari processi per multe all’indagine affannosa, percorrendo strade che lo conducono ad Auschwitz e ai suoi orrori, per giudicare i responsabili ancora in vita e perfettamente inseriti nella società civile tedesca.
Il tema della rimozione della memoria è al centro del film diretto dal italo-tedesco Giulio Ricciarelli: affronta una pagina poco conosciuta dal pubblico internazionale e la impagina in un film dalla regia schematica e convenzionale, ma in grado di offrire motivi di riflessione sulla tematica della coscienza di una nazione che ha preferito seppellire la Storia piuttosto che affrontarla.
Il giovane avvocato protagonista (interpretato da Alexander Fehlding) è in realtà figura fittizia: il processo coinvolse diversi giovani procuratori scelti dal procuratore Fritz Bauer (lo interpreta lo scomparso Gert Voss, al quale il film è dedicato) per la loro età che non permetteva adesioni emotive rispetto al nazismo. La ricerca della verità del testardo legale dipana una fitta rete di scoperte sempre più drammatiche, per aprire gli occhi ad un paese convinto che il processo di Norimberga avesse chiuso definitivamente il capitolo “nazismo”. La caccia ai nazisti ancora in libertà, tra i quali il super ricercato dottor Mengele – una sorta di ossessione per il protagonista – è emblema di una Germania che permetteva la coabitazione di civili e aguzzini, qui sollecitata a modificare la scelta della memoria cancellata.
Paolo Pagliarani