Famiglie felicemente riunite a colazione davanti ad un pacco di “sane” merendine, biscotti che si inzuppano rotolando da soli nel latte, intenditori che riempiono le cantine di vino in cartone o ancora pescatori che rientrano anticipatamente a casa perché in tavola sta per essere servito un piatto a base di pesce surgelato. Sono solo alcuni degli input che ci arrivano dalle pubblicità e che spesso assimiliamo senza rendercene conto. Quando arriva il momento della spesa vestiamo quindi i panni dei consumatori distratti e acquistiamo per abitudine oppure, seconda opzione, compriamo alla ricerca dell’offerta. Negli ultimi anni qualcosa però, sembra stia cambiando: c’è più attenzione al biologico, fioriscono i mercatini dei produttori locali (i cosiddetti farmer’s market), i controlli sui cibi sono più rigorosi. Ma la domanda resta: sappiamo quello che ci portiamo in tavola?
Consapevolezza del consumatore
“Per fare il salto di qualità – afferma Maurizio Mangelli, responsabile della Sicurezza Alimentare di Coldiretti – è necessario che il consumatore sia più consapevole nelle scelte e per aiutarlo, questa è l’altra priorità, bisogna impegnarsi per garantire una grande trasparenza negli aspetti della produzione e della commercializzazione”.
Uno degli strumenti per farlo è l’etichetta.
“Da quando nell’ultimo anno è diventato obbligatorio scrivere la materia prima utilizzata sono, ad esempio, diminuite del 35% le frodi relative all’olio d’oliva. Questo vuol dire che qualcosa prima non funzionava perché il consumatore pensava di comprare un olio italiano, in quanto la marca era italiana, invece dentro la bottiglia ci poteva essere (legittimamente) un prodotto ottenuto con olive provenienti da qualsiasi parte del mondo. L’importante era solo lavorarlo in Italia”.
A monte, per una scelta accurata del cibo, servirebbe però una maggiore formazione. “L’etichetta bisogna anche saperla leggere – spiega il professor Gian Gaetano Pinnavaia del Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna – e per farlo servirebbe che nelle scuole venisse dato spazio all’educazione alimentare. Cosa però che viene fatta solo saltuariamente”.
Ma cosa indicano le etichette? In primo luogo, tutti gli ingredienti riportati in ordine (partendo da quello presente in maggior quantità), i termini di conservazione e anche il numero del lotto (ad esempio per risalire a specifici prodotti che presentano particolari problematiche). L’altro aspetto fondamentale per aiutare i consumatori nella scelta è l’informazione.
“Chi deve farla però? – si chiede il professor Pinnavaia – Spesso ad informare sono le stesse strutture commerciali che mettono in vendita i prodotti. Forse servirebbe anche un organismo super partes”.
Controlli sulla sicurezza
In tema di alimentazione l’Unione Europea ha emanato numerose norme chiamate a dare un’impostazione comune per tutti i paesi membri. “L’Italia è uno degli Stati più attenti in fatto di segnalazioni di possibili prodotti a rischio – afferma il dottor Fausto Fabbri, direttore dell’U.O. Igiene, Alimenti, Nutrizione dell’Ausl di Rimini – e, a sua volta, anche la nostra regione è ai vertici a livello italiano. Il principio base del sistema comunitario è la tutela della salute e degli interessi dei consumatori. La responsabilità della sicurezza alimentare ricade sul produttore ma ognuno degli attori presenti nella filiera risponde per i passaggi di sua competenza. Esiste poi un sistema di allarme rapido che consente, al rinvenimento di alimenti potenzialmente a rischio, di comunicare rapidamente la questione a livello nazionale ed europeo. È presente, inoltre, un’apposita Autorià che si occupa del tema e che ha sede a Parma”.
Il fatto che l’Unione Europea abbia innalzato l’asticella della qualità in tema alimentare è importante perché tiene fuori dai confini quei prodotti provenienti da paesi extraeuropei che non rispettano i paletti posti dalle norme comunitarie. La fiducia dei consumatori italiani sembra comunque indirizzarsi ai prodotti di casa nostra.
“Una ricerca della SWG – riprende Mangelli – evidenzia che oltre il 90% dei consumatori italiani preferisce conprare prodotti nostrani. Questo significa che i cittadini ritengono che il modo di produrre prodotti nel nostro paese sia più sicuro e tutelato”.
Esistono prodotti più a rischio?
A livello europeo le maggiori segnalazioni si concentrano su frutta secca, spezie e snack, prodotti della pesca e ortofrutta.
“Per quanto riguarda i primi – spiega il dottor Fabbri – si riscontra la presenza di microtossine che sono cancerogene, nel pescato si rileva invece la presenza di metali pesanti (mercurio nei pesci, cadmio nei molluschi e nei crostacei) ed infine, in frutta e verdura, si trovano residui di pesticidi”. Difficile però fare una classifica degli alimenti potezialmente più rischiosi, più semplice stare attenti a quello che si compra.
“È buona norma – spiega ancora Mangelli – verificare il percorso dell’alimento. In questo senso, accorciare la filiera può aiutare molto perché avere un rapporto più diretto con chi produce permette di avere notizie più certe sul prodotto”.
Inoltre è importante rilevare che, ad incidere sulla salute, è anche il modo in cui ci si alimenta.
“Si possono mangiare solo alimenti sani, ma se lo si fa in modo scorretto – afferma il professor Pinnavaia – nel tempo possono presentarsi comunque malattie di tipo metabolico”.
Prodotti biologici
Negli ultimi anni il consumo di prodotti biologici ha preso sempre più piede. A differenziare questi alimenti dagli altri è il fatto di essere stati ottenuti senza l’utilizzo di prodotti chimici di sintesi. Un vantaggio quindi per la salute?
“Teoricamente sì, ma – spiega il dottor Fabbri – manca una prova scientifica per affermarlo. Nessuno finora ha messo a confronto 100mila persone che mangiano biologico ed altrettante che non lo fanno, verificando le differenti condizioni di salute”.
C’è poi anche un altro problema.
“Il piano di monitoraggio regionale dei residui di antiparassitari – ricorda Fabbri – evidenzia che se ne trovano pure nei prodotti biologici, anche se, in misura minore rispetto agli altri”.
Un fenomeno, in buona parte probabilmente dovuto al cosiddetto «effetto deriva», vale a dire sostanze che si diffondono nell’aria (magari da vicine coltivazioni).
“In ogni caso – afferma il professor Pinnavaia – la mia speranza è che un giorno il metodo biologico possa diventare quello agricolo per eccellenza. Così si eviterebbe qualsiasi effetto deriva”.
OGM
Quello degli Organismi Geneticamente Modificati è un argomento tornato d’attualità dopo il via libera dell’UE alla super patata che ha posto fine ad un embargo decennale.
“Il mio auspicio – spiega Pinnavaia – è che venga rispettato il principio di precauzione. Finché non si dimostra che gli OGM non fanno nulla, e prove scientifiche non ce ne sono, non bisogna utilizzarli”.
Punti interrogativi sugli effetti sulla salute ma anche dal punto di vista agricolo.
“In alcuni paesi europei gli OGM sono ammessi – afferma Mangelli – nonostante questo, nell’ultimo anno le semine sono calate del 12%”. Alla faccia di quanto sostenuto da tante multinazionali. Basterà questo per fermare gli OGM?
Andrea Polazzi