Più che commentare il documento conclusivo del Sinodo sui giovani, di Papa Francesco, Christus vivit, operazione che ritengo presuntuosa, mi pare importante dedicarsi alla lettura del testo. Con il cuore libero: dalle paure rispetto a questo tempo, perché anche oggi il Signore parla; libero dalle incertezze rispetto ai giovani, perché anche in essi c’è il sigillo della creazione e anche nel loro cuore c’è il soffio dello Spirito; libero dai pregiudizi che nascondono le fragilità attorno alle quali ci illudiamo di costruire fortezze inattaccabili.
L’esperienza del Sinodo ha sollevato domande su come tenere viva l’esperienza generativa della fede cristiana. I giovani rappresentano la possibilità di consegnare qualcosa di sé. Per questo il Sinodo (nel suo percorso) è stato promessa di speranza: soprattutto che si possa dare risposta a ciò che talvolta ci mette in ansia, come la fatica di interagire con la cultura contemporanea nella quale i giovani stanno crescendo.
Gli snodi culturali di questo tempo (che loro sanno intercettare prima e talvolta meglio degli adulti) suonano estranei a ciò che consideriamo essenziali alla vita di fede; ma se non vogliamo tradire il principio di incarnazione non possiamo né ignorarli, né considerarli in eterno contrasto con le istanze della fede stessa.
Il Sinodo, dunque, ha messo i giovani al centro: la fede (per quanto ferma nei suoi contenuti) non può essere immutabile nelle forme, che saranno necessariamente storiche. In un tempo così frammentato, tentare di ridurla a poche norme significa renderla inefficace oltre che impoverirla. Le domande su come consegnare il Vangelo ai giovani di questo tempo, mostrano il bisogno di considerare questo compito come un’impresa comune.
L’Esortazione apostolica al termine di un Sinodo è la parola del Papa che riprende il dibattito del cammino sinodale, sottolineando ciò che ha colpito il suo cuore di padre e rilanciando alcuni temi che ritiene particolarmente significativi. Le parole del Sinodo arrivano così al termine, mentre si apre il tempo della sua attuazione.
Colpisce, in particolare, che questa volta Papa Francesco abbia deciso di rivolgersi in modo particolare ai giovani cristiani, pur senza escludere il resto del popolo di Dio – cioè gli adulti. Evidentemente li sta trattando come parte della comunità e nello stesso tempo accetta il gioco delle generazioni che è vecchio come il mondo.
Michele Falabretti
direttore del Servizio pastorale giovanile della Cei