Parrocchia come luogo di annuncio per tutti, casa accogliente che include anche i più fragili e i più poveri rendendoli non solo destinatari del messaggio evangelico, ma protagonisti nel cammino di fede. Nella consapevolezza che proprio i piccoli e gli ultimi sono i più vicini al cuore di Dio. “O tutti, o nessuno”, aveva ammonito Papa Francesco incontrando lo scorso giugno i partecipanti al convegno promosso dalla Cei in occasione del 25° d’istituzione del Settore per la catechesi delle persone disabili all’interno dell’Ufficio catechistico nazionale. Quando sono pienamente inseriti nella vita della comunità, i disabili testimoniano che la fragilità appartiene all’essenza dell’uomo e non ne limita la dignità. La loro presenza arricchisce la Chiesa ed è un dono per tutti. Abbiamo raccolto le esperienze di Anne Dewulf (Comunità di Sant’Egidio – Belgio) e di Isabel de la Taste (Conferenza episcopale francese).
“Abbiamo iniziato ad incontrare le prime persone con disabilità cognitiva all’inizio degli anni ‘70 e ci siamo subito accorti che erano davvero sole ma anche ricche di potenzialità. Molti disabili erano relegati e nascosti in casa: la prima cosa da fare era superare l’isolamento e il pregiudizio e diventare una famiglia insieme a loro”. Esordisce così la belga Anne Dewulf, della Comunità di Sant’Egidio, raccontando la sua esperienza nella diocesi di Anversa. “Per molto tempo si è ritenuto che la fede fosse possibile solo per le persone in pieno possesso delle proprie facoltà mentali, ma leggendo i Vangeli abbiamo scoperto che prima di essere professata è donata dall’incontro con Gesù; è un bisogno di guarigione ma prima ancora di amore e di salvezza. Abbiamo così iniziato a sviluppare specifiche catechesi in modalità Aac (Augmentative and Alternative Communication) anche grazie alle tecnologie digitali per aiutare soprattutto chi non è in grado di comunicare verbalmente”. Durante le catechesi e nella Messa “utilizziamo grandi descrizioni iconografiche della Parola di Dio: disegni di grandi dimensioni, murales visibili da lontano che riproducono i passaggi del Vangelo letti”. “I disabili partecipano alla liturgia domenicale con grande entusiasmo”, racconta citando i casi di Carla e Madeline.
Carla, giovane con sindrome di Down, conferma: “Non vedo l’ora che arrivi la domenica”.
Madeline aggiunge: “Ho capito che Gesù è un amico che non ci lascia mai”.
Un “bella” liturgia, spiega Dewulf, non è “speciale”: l’importante è avere simboli visivi che aiutino, canti semplici con parole evangeliche facili da ripetere. Dewulf sottolinea, inoltre, l’importanza del sacramento della riconciliazione e invita a sgombrare il campo dall’idea che una limitata consapevolezza di ciò che è bene e di ciò che è male, o la sofferenza che molti disabili provano nel corpo o nella mente li renda automaticamente “buoni’”: “Questa idea di innocenza è un falso perché i disabili sono come le altre persone, peccatori come tutti”. Negare loro la responsabilità significa “non considerarli persone capaci di sbagliare ma anche di cambiare in meglio”.
Questo “lo abbiamo sperimentato con il Giubileo della misericordia quando dopo avere attraversato la Porta santa nella cattedrale di Anversa il vescovo Johan Bonny ha conferito la Cresima alla nostra amica Cindy”. La presenza dei disabili, conclude, “è un dono per ogni comunità cristiana”.
Isabel de la Taste, del Service national de la Catéchèse déléguéé aux pédagogies pour l’handicap (Conferenza episcopale francese), sottolinea che “le persone con deficit intellettuale non sono prive di intelligenza. Non hanno accesso all’intelligenza concettuale ma possiedono un’intelligenza concreta: tutto ciò che per loro ha senso passa attraverso informazioni sensoriali”. Per questo l’itinerario messo a punto per condurle verso l’Eucaristia si fonda su una “pedagogia dei cinque sensi”.
La liturgia della Messa – afferma – “è piena di stimolazioni sensoriali: occorre tentare di stabilire un legame permanente fra liturgia e catechesi. Sono i catechisti, per primi, a dover riscoprire la loro capacità di percezione sensoriale mettendo in stand by il pensiero astratto”.
Anzitutto visitando la propria chiesa come se fosse la prima volta: osservarla dall’esterno, valutare la facilità d’ingresso, il senso di accoglienza dell’interno, la lunghezza della navata da percorrere, le zone di luce e quelle d’ombra. E ancora, per comprendere meglio come le persone con disabilità mentale vivano la Messa, soffermarsi sulle sollecitazioni date dal guardare i gesti del sacerdote, dal sentire il profumo dell’incenso, dall’osservare i movimenti dei fedeli in piedi, seduti, in ginocchio. Spiega l’esperta: “Ciò che viene sperimentato attraverso i sensi stimola la parte affettiva e si imprime a livello cognitivo mentre la ritualità liturgica permette di percepire gradualmente il senso del sacro”.
Video in lingua dei segni per sordi, Vangeli tattili per ciechi, pittogrammi specifici per disabili mentali per “raggiungere le persone nel rispetto della loro libertà e accompagnarle nel cammino di maturazione della vita cristiana con linguaggi adatti alla situazione di ciascuno”. Strategico il ruolo delle famiglie, accolte, incoraggiate e coinvolte in ogni tappa del percorso.
Giovanna Pasqualin Traversa