Appurato che le mafie si sono liberate di coppola e lupara per colletti bianchi e ventiquattrore, bisogna capire perché l’impressione di tutti è che questa non esista, perlomeno nel nord Italia. Ennio Grassi e Enzo Ciconte tratteggiano le linee della presenza della criminalità organizzata in Riviera.
“È una questione di prospettive – commenta Grassi – è difficile che a Rimini si veda la mafia, la ’ndrangheta o la camorra, esprimersi secondo le modalità con le quali si esprime nei contesti sociali di origine. Per spiegarmi meglio, Rimini non è Napoli o Palermo, è impensabile pensare di vedere scene di ordinaria violenza o intimidazioni. Essa piuttosto si manifesta secondo forme che non sono leggibili dalla collettività. Si infiltra attraverso forti quantità di denaro, creando, in seconda battuta, dei problemi nel normale andamento del mercato, qualunque esso sia
Ma quando è arrivata la criminalità organizzata a Rimini e zone limitrofe?
I primi “ganci” tra nord e sud risalgono alla seconda metà degli anni ’70 prima metà degli anni ’80, nel periodo dei cosiddetti “soggiorni obbligati”. Si spiega così la primissima infiltrazione mafiosa in regione, con nomi del calibro di Gaetano Badalamenti, Giacomo Riina (zio del capo Totò) e Luciano Liggio, capo della mafia corleonese nel periodo della guerra di mafia che spodestò i palermitani alla guida di Cosa Nostra. Questi grandi nomi si spostavano al nord, ma non erano mai da soli, con loro, infatti, si muovevano, oltre alle famiglie, affiliati dei clan che cominciarono a guardarsi intorno e a leggere nel territorio dell’Emilia Romagna un’opportunità d’investimento allettante. C’è ma non si vede, quindi.
“Ci sono delle cose che devono farci pensare.– continua Grassi – Purtroppo facciamo fatica a interrogarci. Siamo restii a farci alcune domande anche se i quesiti sono nelle teste di tutti. Certe domande, invece, bisognerebbe farsele. Passa anche da qui il concetto di legalità. Nel non accettare di fare affari con certa gente, nel non accettare di mettere i nostri soldi assieme a quelli dei malavitosi”.
Anche Enzo Ciconte, individua nel riciclaggio l’attività principale dell’infiltrazione mafiosa nel territorio. “Dobbiamo pensare. Dobbiamo insospettirci davanti a cambi di gestione delle attività troppo frequenti. Dobbiamo insospettirci davanti a negozi vuoti che continuano a sopravvivere. Queste sono situazioni nelle quali è possibile ipotizzare che si annidino le criminalità organizzate, e che quelle attività in realtà siano delle lavanderie”.
Ma Ciconte accende una luce su altri elementi: il traffico di droga e la capacità delle mafie di infiltrarsi nelle attività pubbliche.
Per quanto riguarda la droga, è indiscussa la posizione di rilievo di Rimini per quel che riguarda il consumo. Il mondo della notte, il divertimentificio e la grande quantità di giovani che nel periodo estivo si riversano in Riviera, sono un mercato potenzialmente vastissimo per i piazzatori di sostanze stupefacenti. Anche se, spiega Ciconte “Rimini non ha in custodia grandi quantità di sostanze, perché la vera piazza di smistamento è Milano. Dalla capitale lombarda, però, si allargano i tentacoli verso la Riviera, con i grossisti (calabresi) che non avendo il controllo del territorio, permettono ad altre organizzazioni di operare per loro. Degli appalti pubblici, è già noto il caso del ’93 che coinvolse una famiglia malavitosa crotonese nella gestione di un asilo. Fortunatamente la cosa venne alla luce. Oggi il sistema dei subappalti rende più difficile individuare i link tra le azende che conducono i lavori pubblici”.
Angela De Rubeis