Chiara e Francesco, al tempo stesso così simili e così diversi. Se è vero, infatti, che esiste nel francescanesimo un filone femminile che si alimenta del fascino di santa Chiara e della sua eredità spirituale, l’esperienza di questa Santa non può essere considerata, in realtà, solo una traduzione al femminile del vissuto francescano. È questa la tesi che il Festival Francescano, che si terrà a Rimini dal 28 al 30 settembre, vuole dimostrare nell’ottavo centenario della consacrazione di Chiara d’Assisi. Lo fa interrogandosi sul “femminile plurale” (dal titolo di questa IV edizione) e sulle declinazioni che la “Regola clariana” (primo esempio di Regola scritta da una donna nella storia della Chiesa) ebbe non solo sulle sue Sorelle ma su tante altre donne che, a distanza di secoli, possono essere considerate francescane, pur non avendo fatto parte di questo ordine. Allo stesso tema è stato dedicato il primo appuntamento preludio del Festival, il convegno “Frammenti di identità tra diritti e utopie” il 30 maggio alla Facoltà di scienze della formazione della sede riminese dell’Università di Bologna.
Il femminile che pensa Dio. “Esiste un modo femminile di sentire la vita e di pensare a Dio”, ha spiegato Anna Pia Viola, docente di filosofia presso la Facoltà teologica di Sicilia (Università di Palermo). Nel premettere che “il femminile rivela un’attenzione alla vita, a quell’energia che ogni uomo possiede e che le donne sono particolarmente abili nel tirare fuori”, Viola ha richiamato alcune figure chiave che hanno contribuito con la loro sensibilità a fornire un’ottica differente sulla spiritualità e sul divino. “Donne che – ha aggiunto – possono dire tanto ai giorni nostri”. Il primo esempio riportato è quello della filosofa francese Simone Weil (1909-43), “geniale e appassionata pensatrice che ricercò la Verità con tutta la sua persona”. “La sua attenzione etica – ha proseguito – la portò a sviluppare una forte sensibilità nei confronti delle tensioni sociali degli anni Trenta. Si rese partecipe delle sventure della classe operaia nel momento in cui, convinta che non potesse esserci comprensione senza condivisione, lasciò l’insegnamento per lavorare in fabbrica” e “intuendo il male profondo che stava covando in quegli anni la Germania fu accompagnata dalla sofferenza fino alla morte”.
Il femminile e la sofferenza. Altrettanto emblematica, secondo Viola, la storia di Esther Hillesum (1914-1943), intellettuale olandese di origini ebraiche, che “pur nel dramma dell’Olocausto continuò a sostenere che la vita è bella qualsiasi cosa succeda”. Celebre la frase annotata nell’ultima pagina del suo “Diario”: “Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite”. E di fatto essa riuscì ad essere un “balsamo per tutti nell’orrore dell’Olocausto”, “un peso può essere convertito in bene se lo si sa sopportare”. Significativo anche il suo pensiero sull’odio. Una pace futura, disse, sarà possibile solo “se ogni uomo si sarà liberato dell’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato questo odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso”.
Il femminile che genera l’altro. “La storia delle guerre c’insegna che l’uomo si realizza quando uccide. Il destino della donna è invece quello di generare la vita”, ha spiegato fra Giovanni Salonia, docente presso il Pontificio Ateneo Antoniano di Roma. “Oggi abbiamo bisogno di una politica e di una città che diano spazio alle donne – ha auspicato –. Una città senza donne genera solo morte. È questa la disgrazia che oggi viviamo a livello economico e nelle relazioni sociali”. Il messaggio di Salonia non deve però essere interpretato in una pura ottica femminista. Uno dei temi del prossimo Festival Francescano sarà proprio la differenza tra la femminilità, a partire dal vissuto clariano, e il femminismo. Se l’ondata femminista si è caratterizzata per una spinta esasperata a un’uguaglianza che negava le differenze di genere, la Chiesa ha invece mantenuto viva l’idea che la differenza femminile avesse un valore e andasse favorita piuttosto che cancellata. Anche in questo santa Chiara è un esempio. Lo fu anche per Palmiro Togliatti che, come ricorda fra Salonia nelle sue Riflessioni su santa Chiara, in un discorso alle donne comuniste disse: “Non crediate che la religione cattolica sia in sé e per sé un elemento di ostacolo all’emancipazione delle donne, io vi invito a ripensare la storia di Chiara, donna quanto mai autonoma”.
Alessandra Leardini