Non è un racconto di avventure, né un best-seller di economia, ma credo che tutti i riminesi dovrebbero leggere un libretto di 100 pagine che raccoglie lo studio di un giovane ricercatore, Luigi Vergallo, Economia reale ed economia sommersa nel riminese. Dice, con i numeri, cose che tutti sappiamo a parole, ma che pensiamo debbano sempre e soltanto riferirsi al nostro vicino e non a ciascuno di noi: l’evasione a Rimini ha raggiunto cifre da vergogna. Praticamente ogni 100 euro dichiarati ne corrispondono 47 in nero, a fronte di una dichiarazione Irpef con reddito medio di 11.717 euro sta un PIL pro-capite di ricchezza effettiva calcolato in 31.225 euro. Ne parliamo diffusamente all’interno di questo numero, ma soprattutto diventerà motivo di confronto fra tutti noi. Per qualcuno questa potrebbe essere letta come una buona notizia: in fondo siamo più ricchi di come ci dipingiamo. Più ricchi certo, ma anche più egoisti, meno capaci cioè di avvertire la sofferenza di chi è vicino e di condividerla, magari contribuendo al bene comune con le giuste tasse.
Nuvole “nere” che si addensano sulla nostra realtà, che vanno a rendere, se possibile, più scuro il cielo, dopo le tante denunce di infiltrazioni mafiose nell’economia locale, le cattive notizie del rapporto sulle povertà della Caritas sulle difficoltà ad arrivare a fine mese per tante famiglie, come pure la crisi di liquidità che colpisce tante piccole aziende, su cui è poggiata gran parte della nostra economia.
Ma da una situazione del genere non ci tirerà fuori né il maggior impegno della Guardia di Finanza o della Polizia nel contrastare il malaffare, né qualche miracolosa formula che il governo Monti possa magicamente tirar fuori dal cilindro di una buona politica… Quel che ci salverà sarà una nuova rivoluzione morale, che inizia da noi stessi, dai nostri comportamenti, dalle nostre scelte quotidiane. Il primo vero cambiamento è culturale, è di pensiero, è di progetto. Da tempo il vescovo Francesco ci dice che occorre assumere il bene comune – che è il bene di tutti e di ciascuno – come fine supremo dell’organizzazione della società. Il bene comune si fonda sul riconoscimento della pari dignità di ogni uomo. Tutti sono chiamati a collaborare al bene di tutti. Ma c’è un principio che sta alla base, che è quello della responsabilità. Esso implica che ogni cittadino si assuma in prima persona il dovere di una attiva e creativa partecipazione alla costruzione della società, nell’affermazione di una prassi di legalità e nella vigilanza sull’adempimento delle pubbliche funzioni, perché i diritti di tutti siano rispettati
Giovanni Tonelli