Eccolo di nuovo in Piazza Tre Martiri. Parlo del mercato e dico “di nuovo”, perché questo genere di commercio bisettimanale nasce e si sviluppa proprio lì, nell’antico “foro” di Ariminum, che a partire dal Seicento è indicato da mappe e carteggi vari con la dicitura di Piazza Grande; una piazza che legherà il nome alle vicende storico-politiche della città: si chiamerà Sant’Antonio nel periodo “pontificio”, Giulio Cesare nel Regno d’Italia e infine Tre Martiri nella Repubblica. Una piazza, però, che per il popolino – incurante della capricciosa toponomastica – continuerà ad essere la Piazza del Mercato, per quel guazzabuglio di mercanzia in “vetrina” nelle mattinate di mercoledì e sabato.
Proprio per la promiscuità e il disordine di questo traffico a cielo aperto, nei primi anni del Novecento il Municipio procedette, prima, allo spostamento graduale di alcuni articoli, poi – a causa della ingombrante occupazione – si adoperò in mille modi – senza successo – per la sua totale eliminazione: ogni proposta atta a “liberare” la piazza da quel “sudiciume”si scontrava con la netta opposizione di bancarellari e negozianti.
A rimuovere il mercato dalla sua sede istituzionale fu la statua di Giulio Cesare donata alla città di Rimini da Benito Mussolini, allora capo del governo italiano. Questa, infatti, allocata ai piedi della Torre dell’Orologio, reclamava uno spazio degno della sua presenza. E, proprio per assecondare siffatto desiderio, nel settembre del 1933 il mercato della frutta e verdura, ma anche del pollame, delle uova, della porchetta e compagnia bella, veniva traslocato d’autorità nella piazzetta Teatini da dove, poi, avrebbe preso altra destinazione. Al cospetto del bronzo rimaneva solo il mercatino dei fiori, attivo nelle prime ore del mattino. “Un commercio – si compiaceva il Corriere padano– di gentilezza e gusto… sotto lo sguardo vigile del dittatore”.
Oggi, dopo più di ottant’anni di esilio, il mercato è tornato nella storica Piazza Grande e poiché i “corsi e i ricorsi” di vichiana memoria non si ripetono mai nella stessa identica maniera, “sotto lo sguardo vigile del dittatore” occhieggiano camicie, maglie, pigiami, jeans…
Manlio Masini