Catone in Utica, opera incompleta di Vivaldi, è andata in scena al Comunale di Ferrara diretta da Federico Maria Sardelli
FERRARA, 19 marzo 2023 – È stato Dante, nel primo canto del Purgatorio, a consegnarcelo come esempio di dignità politica e morale, delineandone un potentissimo ritratto nei versi «libertà va cercando, ch’è si cara / come sa chi per lei vita rifiuta». Naturale dunque che la figura di Catone Uticense, che aveva scelto il suicidio pur di non scendere a compromessi, rappresentasse una preziosa fonte d’ispirazione per Metastasio. Nel 1728 il poeta gli dedicò un libretto di successo, utilizzato negli anni da numerosi compositori, come Vinci e Piccinni. Tra i primi a metterlo in musica, con esiti eccellenti, fu Antonio Vivaldi (Verona, 1737), che si limitò a intonarne secondo e terzo atto. O, almeno, soltanto questi ci sono pervenuti, dato che resta un enigma se avesse musicato l’intera opera.
In veste abbreviata, dunque, Catone in Utica è andato in scena al Teatro Comunale di Ferrara (dove due anni fa era stato allestito anche Farnace): una scelta concretizzatasi a distanza di quasi tre secoli, quando lo stesso Vivaldi aveva manifestato l’intenzione di rappresentare la sua opera nella città estense, pur senza approdare a nulla di fatto. Si entra così subito in medias res, anche se a Ferrara il sipario si è aperto su una sinfonia vivaldiana, per dare almeno una parvenza d’introduzione strumentale. Da tenere conto poi che, seppure in modo abbastanza inverosimile, questa versione prevede un finale lieto (Giulio Cesare sconfiggerà il suo fiero avversario Catone, ma graziandolo per meglio celebrare il proprio trionfo), mentre in seguito Metastasio realizzerà una seconda stesura, dove la conclusione rispetta la verità storica.
Direttore e artefice delle scelte musicali è stato Francesco Maria Sardelli, oggi tra i più quotati esperti di Vivaldi. Ben assecondato dagli strumentisti dell’Orchestra Barocca dello Spirito Santo, gruppo di specialisti che utilizzano strumenti antichi, l’eclettico Sardelli – anche apprezzato disegnatore e vignettista del periodico satirico Il vernacoliere – ha saputo diversificare arie riconducibili a un’ampia gamma di significati drammatici, valorizzandone ricchezza e varietà timbrica.
I cantanti, ben amalgamati e tutti in possesso di una buona dizione, sono chiamati ad affrontare impervie difficoltà vocali. All’unico uomo del sestetto (non dimentichiamo che Vivaldi era abituato a scrivere per le fanciulle dell’Ospedale veneziano della Pietà, dalle qualità leggendarie) spettava il compito d’interpretare il protagonista: pur con una linea di canto che talvolta risentiva di un certo sforzo, il tenore Valentino Buzza ha saputo rendere il senso d’impotenza di cui è ormai vittima Catone, costretto a prendere atto che persino la propria figlia è innamorata di Cesare. Impegno ancor maggiore viene richiesto al soprano Arianna Vendittelli, che è stata in grado di affrontare una scrittura molto estesa non solo con notevole sicurezza, ma riuscendo a imprimere grande espressività alla figura di Giulio Cesare. Solo due i personaggi femminili: nei panni di Emilia, vedova di Pompeo, ideatrice di un astuto disegno per vendicare l’omicidio del marito, il mezzosoprano Miriam Albano ha affrontato arie difficilissime con determinazione e piglio drammatico. L’altro ruolo femminile, Marzia, era interpretato dal mezzosoprano Valeria Girardello, convincente nel rendere l’altalena di sentimenti che la legano al padre Catone, dalla ribellione all’affetto filiale. Entrambe in ruoli en travesti, il soprano Valeria La Grotta ha impresso al principe Arbace prima irruenza amorosa, poi tratti di composta saggezza, e Chiara Brunello è stata un efficace Fulvio, emissario del senato romano, ben valorizzandone la scrittura contraltile.
Un importante contributo alla riuscita dello spettacolo è arrivato dal regista Marco Bellussi, che si è avvalso dell’elegante scena fissa concepita da Matteo Paoletti Franzato e dei sobri costumi senza tempo di Elisa Cobello. L’azione si svolge in una raffinata dimora, con pochi arredi e statue che fanno pensare a una gipsoteca: potrebbe trattarsi della casa di Emilia, che non a caso si rivelerà il personaggio centrale nei due atti dell’opera che abbiamo ascoltato. La chiave di lettura dello spettacolo, comunque, sta nella partita a scacchi fra Catone e Cesare con il suo significato metaforico: un’evocazione di quel fato che governa gli eventi degli umani e, davanti al quale, i singoli sono spesso impotenti.
Giulia Vannoni