La popolazione invecchia (come sottolineato anche nelle ultime inchieste de ilPonte) e cresce l’esigenza di combattere patologie croniche, dal diabete allo scompenso cardiaco all’insufficienza renale. D’altra parte, la sanità pubblica si trova davanti sempre meno risorse, o perlomeno sempre più “razionate”. La strada imboccata dall’Azienda sanitaria romagnola è di riservare sempre più gli ospedali (più costosi, si sa) ai pazienti acuti (contrariamente alla percentuale ancora troppo alta di codici bianchi e verdi registrata oggi nei pronto soccorso, in particolare a Rimini) e di spostare sempre più dagli ospedali al territorio l’assistenza e la cura delle cronicità e dei pazienti prima e dopo la degenza ospedaliera.
Una rivoluzione. Per i pazienti, per i medici di base, i pediatri di libera scelta, per tutto il sistema che deve sempre più “mettersi in rete”. Ma come attuarla? Ci sono strutture che possono diventare un nuovo nevralgico punto di riferimento: le Case della Salute. Un luogo fisico specifico per l’accesso alle cure primarie, in cui si concretizzi h24 e 7 giorni su 7, sia l’accoglienza e l’orientamento del cittadino ai servizi, che la continuità dell’assistenza, la gestione delle patologie croniche, il completamento dei principali percorsi diagnostici che non necessitano di ricorso all’ospedale, ma anche un’opera di prevenzione di determinate patologie, un’azione di orientamento ad uno stile di vita più sano e una medicina d’iniziativa, con la chiamata attiva di talune tipologie di (come i diabetici). Il tutto, senza che l’utenza sia costretta a gironzolare per il territorio tra medico, specialista e ospedale. Questo il modello, la realtà è un’altra cosa.
In Emilia Romagna, attualmente, ne sono attive 87. Diventeranno 120 con le nuove Case programmate in regione. L’Ausl Romagna oggi ne conta 17: 7 sotto l’Ausl di Ravenna, 9 a Forlì-Cesena, 5 in provincia di Rimini, più precisamente a Santarcangelo, Novafeltria, Bellaria, Coriano e Morciano. In questa provincia, per il momento, non ne sono previste altre mentre a Forlì-Cesena se ne aggiungeranno altre 2 e nel Ravennate 3. In tutte le altre province emiliano-romagnole solo a Ferrara, come a Rimini, non ne sono previste altre. La Regione a fine 2016, come ricorda l’assessore al Bilancio Emma Petitti, ha stanziato oltre 128 milioni per la sanità pubblica e, di questi, 68 solo per le Case della Salute.
Ma più che il numero ciò che fa la differenza è il grado di dotazione/complessità di queste strutture e tra le province romagnole ci sono grosse divergenze. Rimini ne ha 2 a bassa complessità (Coriano e Bellaria Igea Marina), le altre 3 sono di medio livello. Alcuni servizi non riescono a decollare come emerso nel convegno che la Cgil di Rimini ha dedicato al tema il 15 settembre, per far luce su una risorsa ancora perlopiù sconosciuta. Per questo motivo organizzerà assemblee pubbliche nei prossimi mesi e tavoli di confronto con i due Distretti Sanitari nord e sud.
Come annota Mara Garattoni responsabile Dipartimento sociosanitario della SPI-Cgil, “in alcune di queste Case non esiste nemmeno un punto prelievi pubblico”. Accade a Bellaria che resta la Casa della Salute più indietro nel Riminese. A confronto Santarcangelo (dove è ospitata all’interno dell’ospedale) è un altro mondo con ambulatori di dermatologia, fisiatria, neuropsichiatria infantile, ortopedia, otorinolaringoiatria, salute mentale, un ambulatorio di vaccinazioni adulti, un Centro per le famiglie, un Centro prelievi, una Guardia medica per residenti e uno sportello presidi per l’incontinenza. Sempre a Santarcangelo maggiore sarebbe il coinvolgimento, rispetto alle altre Case della Salute riminesi, dei medici di medicina generale.
A Novafeltria la Casa, sempre all’interno dell’ospedale, offre anche ambulatori di odontoiatria, neurologia, pneumologia, un ambulatorio veterinario, un consultorio familiare e, tra i vari servizi, anche uno di infermieristica domiciliare. Morciano dispone anche di un ambulatorio di vaccinazioni pediatriche, non solo per adulti. Coriano offre guardia medica, consultorio familiare, ambulatorio di vaccinazioni, CUP, centro prelievi e ambulatorio infermieristico domiciliare.
Perché questo gap? Il Direttore generale dell’Ausl Romagna, il riminese Marcello Tonini, punta il dito contro lo scetticismo e la scarsa collaborazione di molti medici di medicina generale (Mmg). Il loro coinvolgimento ad oggi nelle Case della Salute avviene per adesione volontaria. Molti esprimono giudizio critico verso il sistema, lo ritengono imposto dall’alto e perché stravolge il modello storico rapporto di fiducia medio-paziente. Occorre anche abituarsi ad un lavoro più collegiale con altri Mmg e professionisti. Eppure sono fondamentali. Serve un’intesa.
“Condivido che non vada tutto bene – afferma Tonini –II problema delle risorse c’è. La sanità è una rincorsa continua e ciò avviene anche per le Case della Salute. Più risorse professionali hai e meglio è. Ma non è determinante per fare il salto. La sanità la fanno gli operatori. Se non lavoriamo insieme a loro per far sì che il progetto prenda vela, tutto il resto sono chiacchiere. E ancora non ci siamo. I medici di medicina generale hanno un ruolo centrale. C’è un gap tra la realtà e la loro rappresentanza. Per far sviluppare le Case della Salute ci vogliono anche responsabilità e doveri da parte di medici e operatori”.
Bruno Doriano Sacchetti, segretario provinciale Fimmg, Federazione Medici Medicina Generale, ci racconta come molte cose siano ancora da definire: gestione delle presenze sul territorio e contenuti delle Case della Salute. Sul primo, “chiaro che il medico di famiglia deve rimanere punto di riferimento – afferma -. Centrale, ai fini del coinvolgimento dei medici di medicina generale, sarà la convenzione che regola i rapporti tra la nostra categoria e il Servizio Sanitario Nazionale. Convenzione che deve essere rinnovata e, ammesso che ciò avvenga, dovrà esserci un quadro normativo e legislativo preciso in materia”. Quanto ai contenuti, cosa dovranno offrire di preciso queste strutture, quali prestazioni? Pensare a piccoli ospedali non è possibile, chiarisce Sacchetti. “Non si può poi pensare di togliere gli ambulatori dei medici di base: se questi dovranno spostarsi tout court nelle Case della Salute, dovranno chiudere i propri e lasciare sguarnito il territorio. Che assistenza andrà fatta poi? Di primo livello? Codici bianchi? Anche questo è da valutare”.
Più punti aperti dunque. Intanto non resta che conoscere meglio e utilizzare di più quelle già attive. Sarebbe già un buon risultato.
Alessandra Leardini