Sono circa 17.373 in Italia, 1.081 in Emilia-Romagna. Si chiamano Lamine, Mohamed, Omar, Ahsan. Dietro ai numeri e ai nomi, ci sono i volti e le storie di migliaia ragazzi che ogni anno giungono soli nel nostro Paese e, se fortunati, vengono accolti nei progetti Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati).
Il 20 giugno si è celebrata in tutto il mondo la Giornata del rifugiato, che quest’anno ha previsto in molte città d’Italia iniziative di “porte aperte” per promuovere interazione tra i rifugiati e le comunità locali e riaffermare i valori dell’impegno e della solidarietà.
E così anche il Ponte decide di aprire simbolicamente una porta su questo mondo con un focus specifico sul tema dei minorenni accolti a Rimini nell’ambito dello Sprar. Iniziamo il nostro approfondimento intervistando Patrizia Fiori, coordinatrice per il Comune di Rimini dei progetti Sprar “Rimini porto sicuro” e “Karibu a Rimini”, il secondo mirato proprio all’accoglienza di persone di minore età.
Quanti sono i minorenni soli di origine straniera accolti a Rimini?
“Al momento Rimini accoglie nell’ambito dello Sprar 18 ragazzi, 14 minorenni e 4 neomaggiorenni (di cui 2 ragazze), ma, oltre ai Msna (minori stranieri non accompagnati) inseriti in questo programma, sono circa una quarantina i minori stranieri in carico al Comune di Rimini. Questi numeri sono piuttosto stabili dal 2014 ad oggi. Va inoltre evidenziato che dal 2016 il sistema Sprar è stato trasformato nel sistema di seconda accoglienza per tutti i minori stranieri non accompagnati, non solo per i richiedenti asilo e rifugiati. Rimini, come il Comune di Bologna, ha scelto però di non inserire nel progetto i minorenni di origine albanese, salvo rari casi. Questo perché solitamente questi ragazzi vengono qui soprattutto per proseguire gli studi e con esigenze diverse rispetto agli altri. Naturalmente non si esclude che possano essere inseriti nello Sprar in casi particolari: il bisogno di protezione prescinde dalla nazionalità”.
Quali sono le realtà che li accolgono?
“Capofila del progetto di accoglienza designato dal Comune di Rimini è l’associazione Papa Giovanni XXIII, che accoglie questi ragazzi in una struttura specifica, ad elevata autonomia, «Casa Karibu<». I minorenni sono poi inseriti anche nella comunità di pronta accoglienza «Amarkord», gestita da associazione Zavatta e cooperativa Il Millepiedi, e a «Casa Borgatti» e «Casa Clementini», comunità educative della Fondazione San Giuseppe per l’Aiuto Materno e Infantile gestite dalla coop. Il Millepiedi”.
Quali sono i principali punti di forza del sistema di accoglienza riminese?
“Penso che il nostro principale punto di forza sia la scelta di istituire la figura di un «operatore per l’integrazione». Si tratta di un educatore incaricato di svolgere attività che favoriscano il più possibile l’integrazione dei ragazzi nel territorio attraverso iniziative per l’istruzione e la formazione, l’inserimento lavorativo, lo sport, il tempo libero, e così via. Questa particolare figura di sistema, oltre a garantire omogeneità tra le varie soggettività coinvolte nell’attuazione del progetto, si pone come punto di riferimento anche nella delicata fase del passaggio dalla minore alla maggiore età. Lo Sprar è un progetto di accoglienza integrata e pertanto non si basa sulla realizzazione di una rete di alloggi per un’accoglienza diffusa, ma punta soprattutto sulla promozione dell’autonomia e di una positiva integrazione. Per questo i progetti possono non terminare al compimento della maggiore età, ma proseguire per un massimo di sei mesi oltre il compimento della maggiore età per favorire l’acquisizione di quegli strumenti per l’autonomia, laddove non fossero ancora stati raggiunti”.
E invece le criticità?
“Innanzitutto va detto che al momento non solo a Rimini ma in tutta Italia il numero di posti nella rete Sprar disponibili è di gran lunga insufficiente per rispondere alla domanda. Spesso, infatti, i minori accolti in prima battuta negli Hub in capo alla Prefettura o nei Centri Fami (Fondo asilo migrazione e integrazione del Ministero dell’Interno) non trovano posto nello Sprar, così come i minori giunti via terra (rotta balcanica) che rientrano nelle competenze del sindaco del Comune in cui vengono rinvenuti. Un altro problema con cui confrontarsi è quello dei sedicenti minori, cioè giovani collocati come adulti dalle Prefetture nei Cas e che in seguito al collocamento rettificano la propria data di nascita, perché spesso mal registrata al momento dello sbarco o perché nemmeno loro sanno precisamente quando sono nati. Infine c’è come sempre un problema di costi, il contributo erogato dal Ministero dell’Interno per i Msna agli enti locali non copre nemmeno la metà della diaria applicata dalle comunità di accoglienza per minori”.
Cosa potrebbe essere fatto per migliorare l’accoglienza di questi ragazzi?
“Penso che un’urgenza sia quella di promuovere per loro corsi di formazione il più possibile rapidi e flessibili. Se un ragazzo arriva in Italia a 16 anni e mezzo o 17 (come la stragrande maggioranza dei Msna) non si può pensare di iscriverlo a una scuola professionale della durata di minimo due anni, ma serve un’offerta formativa adeguata per loro e con costi sostenibili, per introdurli presto nel mondo del lavoro. Il terzo settore riminese è sempre stato molto efficace nell’offrire risposte di eccellenza alla domanda di accoglienza di questi ragazzi, ma deve ulteriormente fare uno sforzo per trovare risposte sempre più adeguate, in collaborazione con l’ente pubblico. In particolare credo debbano essere promosse esperienze come quelle della peer Sprar sfida importante”.
Silvia Sanchini