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Caro Stato, meritiamo più rispetto

Nella loro capacità di accogliere e dare un’opportunità di riscatto a migliaia di malati, ragazzi di strada, ex detenuti e tossicodipendenti, persone provenienti da situazioni di fortissimo disagio, le case famiglia rappresentano una risposta alternativa e qualitativamente certificata al problema dell’emarginazione sociale. Quelle gestite dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, 340 nei cinque continenti e 251 in Italia, sono a fianco degli ultimi da quarant’anni. Per festeggiare il compleanno e per riflettere sul quadro normativo, ancora carente, in cui queste strutture si trovano ad operare, l’associazione fondata da don Oreste Benzi ha organizzato il 31 maggio alla Fiera di Rimini il convegno “Una famiglia per tutti”. Tante le storie di chi, in queste famiglie, ha aperto le porte. Tante quelle di chi è stato accolto e ha avuto la possibilità di scoprire una nuova vita. Tanti i riscontri positivi da parte dei giudici, medici, psicologi e pedagogisti intervenuti, a testimonianza di come, dopo quattro decenni, i risultati di questo modello educativo, siano sotto gli occhi di tutti.

La prima fu Casa Betania. Sono numerosi i frutti seminati da quando le intuizioni di don Benzi su come rispondere ai poveri che bussavano alla porta, trovarono espressione nella nascita della prima struttura a Coriano, nel luglio 1973. Dalla fondazione di Casa Betania queste strutture si sono moltiplicate ma sempre rispettando un principio fondamentale: il loro essere una famiglia a tutti gli effetti, fondata da un padre e una madre. È questo aspetto, come spiega il segretario generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, Giovanni Paolo Ramonda, a garantire la loro identità educativa e pedagogica: “Le nostre case famiglia producono benessere relazionale e sociale. Ci sono bambini che arrivano in stato vegetativo e che nelle nostre realtà iniziano a comunicare. Decine di migliaia di ragazzi vi hanno ritrovato una loro dignità e stima in se stessi, sono diventati nuovamente una risorsa per la società”.

I numeri. Secondo il rapporto “Un tesoro in vasi di Creta” presentato durante il convegno, nel mondo le case famiglia sono 340, in Italia 251. A queste si aggiungono 51 case di pronta accoglienza, 14 di accoglienza e fraternità, 7 di accoglienza e preghiera, per un totale di 323 strutture. All’estero le strutture della Comunità sono invece 90, in 21 Paesi nei 5 continenti. Più di 600 i bambini e i ragazzi di strada che ricevono ogni giorno un rifugio. I minori in generale sono 882 e l’80% resta anche dopo i 18 anni. Gli adulti accolti sono 1.470, circa il 23% dei quali sono nati in un Paese extraeuropeo. L’età media è di 25 anni. Fondamentale risulta il volontariato: dal 2006 (anno successivo all’abolizione della leva obbligatoria) ad oggi, 450 giovani hanno dedicato un anno di servizio civile volontario alle case famiglia della Comunità in Italia; 250 all’estero. E circa 3mila sono stati, dal 1975 al 2005, gli obiettori di coscienza in servizio civile sostitutivo in queste realtà.

Pagina a cura di Alessandra Leardini, Riccardo Belotti e Giovanni Tonelli