Chissà quante volte ci è capitato di sentire o noi stessi abbiamo pronunciato queste parole: “Dovremmo imparare dagli animali”. Tenacia, pazienza, resilienza, adattamento, coerenza sono tutte qualità che gli animali possiedono in abbondanza, delle quali si servono per organizzare le loro vite che sono perfette nei ritmi, nello spazio e nei tempi. Oggi molti educatori insegnano prendendo esempio dalle abitudini del regno animale, ma una volta non era così scontato. A Santarcangelo, da sempre patria di menti geniali, ha vissuto un personaggio, maestro elementare, che già nel 1800 educava i propri alunni prendendo spunto dal lavoro delle api. Stiamo parlando di Carlo Carlini detto, appunto, il Maestro delle api.
Carlini nasce nelle contrade, in Via dei Nobili, il 27 settembre del 1875. Come molti dei suoi antenati, e anche dei suoi fratelli (ne aveva cinque, lui era il maggiore), prende il diploma alle Scuole Magistrali. Comincia la carriera scolastica, amandola fin da subito, a Saludecio e Cattolica nel 1895. Lì, come si può leggere nei suoi diari, per sbarcare il lunario dà lezioni private e usa scarpe rotte, anche se per raggiungere gli alunni si bagna i piedi. Dopo tre anni, viene trasferito nel paese d’origine dove, sempre per motivi economici, insegna anche alle scuole serali. Un insegnante appassionato, che affronta il mestiere con grande predilezione. Ma perché è conosciuto come “Maestro delle api”? Carlini è un bravo apicoltore, ma per lui la passione diventa presto un vero e proprio amore portandolo non solo a produrre miele e cera, ma a studiare in modo approfondito il mondo di questi animali. Questo lo fa diventare uno dei più grandi esperti di apicoltura a livello nazionale e internazionale. Il Maestro lavora molto e quasi tutto il suo tempo libero è dedicato all’allevamento di questi insetti, affascinato dalla loro laboriosa operosità (sempre nei suoi appunti, si legge di come restasse ogni volta sorpreso davanti ad un alveare e di quanto spesso si chiedesse se quei piccoli esseri agissero per semplice istinto naturale o se, invece, fossero dotati di intelligenza, “ tanto è perfetta la loro organizzazione, mantenuta da una salda disciplina sì che il lavoro procede alacre e sempre ordinato”). Carlini è così entusiasta del lavoro minuzioso e certosino delle api per la preparazione dei favi, che concentra i suoi studi in particolare sulle arnie.
Il suo contributo nella storia dell’apicoltura È nel 1904, a Ravenna, che presenta – ad una platea composta da oltre trecento apicoltori provenienti da tutt’Italia – una relazione così interessante ed elaborata che determina nuove importanti e significative indicazioni per l’apicoltura nel nostro Paese. Ma non solo. Alcuni stralci della sua lezione vengono riportati anche su “L’arnia e l’ape” di Langstroth e Dadant, il monumentale trattato americano ritenuto il migliore manuale di Apicoltura fino alla fine degli anni ’40 del Novecento. Durante il Congresso di Brescia del 1932, l’arnia da lui perfezionata viene dichiarata “Arnia Italica-Carlini”.
La vita e l’attività delle api lo catturano a tal punto che la struttura degli alveari, esempio di una comunità armoniosa ed efficiente, è modellata da Carlini sui suoi ragazzi. “E Mèstar” – così veniva chiamato dai concittadini – educa intere generazioni, convinto che solo l’istruzione e l’insegnamento possano portare all’emancipazione del popolo.
Agli allievi fornisce, oltre agli insegnamenti classici, anche nozioni di agricoltura e offre spesso assaggi di miele (da lui prodotto) a bambini e colleghi. Si può dire che sia stato un precursore dei tempi moderni, perché il maestro Carlini ama insegnare all’aperto (oggi noi siamo obbligati, per cause di forza maggiore) tant’è che nel 1900 mette a disposizione, gratuitamente, un piccolo appezzamento di terra chiamato “Campicello Scolastico” – per lezioni pratiche di agraria e apicoltura della scuola serale.
Non solo api. L’impegno sociale di Carlini Il suo trasporto per la natura va di pari passo con l’amore per il prossimo. Egli, infatti, si distingue tutta la vita per la generosità che dimostra nell’aiuto ai più deboli.
La sua lunga affiliazione alla “Società Operaia di Mutuo Soccorso” – fin dal 1900 – ne è una dimostrazione concreta. Per ben 25 anni ne resta Presidente, aiutando anche nei periodi più difficili i concittadini meno abbienti. Fin dai primi anni d’insegnamento, si adopera per fondare il “Patronato Scolastico”, istituzione benefica a favore di alunni e famiglie disagiate. Inoltre, con l’aiuto anche di altri colleghi, si impegna ad istituire la “Refezione Scolastica”, che garantisce un piatto caldo anche ai bambini più poveri. Sempre in quell’anno, il 1910, Carlo Carlini diventa Presidente del “Campo del tiro a segno e per l’educazione fisica”, creato per impartire ai ragazzi lezioni di ginnastica avendo, al contempo, luoghi di aggregazione per ritrovi, esercitazioni e giochi. Nel 1914 Carlini pubblica “Lezioni di apicoltura”, testo corredato da lastre di vetro (“le prime diapositive”) con immagini che facilitano i ragazzi nell’apprendimento. Dà alla stampa diversi testi e – dopo il collocamento a riposo dalla scuola, nel 1935 – si applica quasi esclusivamente all’apicoltura, dedicandosi alla produzione e alla vendita di un miele eccellente, aiutato dal figlio Mario.
L’impegno per la “sua” Santarcangelo Carlini è innamorato anche del proprio paese e fa di tutto, durante la sua lunga vita, per sensibilizzare le Amministrazioni affinché le bellezze e i luoghi importanti – spesso nascosti o conservati in cattive condizioni vengano valorizzati e offerti agli occhi dei santarcangiolesi e dei turisti che, dopo la guerra, cominciano ad arrivare. Sostiene sempre le ricerche dello studioso Luigi Renato Pedretti, suo grande amico, soprattutto per quanto riguarda le grotte tufacee, anche se in quel tempo non c’era molto interesse sull’origine e sulla valorizzazione degli ipogei clementini. Sempre col Cav. Pedretti si occupa di far restaurare la bellissima Pieve di San Michele Arcangelo, a rischio di crollo; segue gli scavi archeologici nella zona intorno a quella chiesa, dove riporta alla luce i resti di un insediamento urbano di epoca romana.
Nonostante le grandi soddisfazioni e l’enorme valore del suo lavoro, rimane umile e modesto. Per tre volte viene proposto per il cavalierato e per tre volte rinuncia, facendo sapere alla Commissione di non essere interessato alla carica.
Consegue, all’Università di Bologna, il diploma per un corso di perfezionamento in pedagogia che gli dà diritto di fregiarsi della qualifica di “professore”. Ma anche questo titolo non lo utilizzerà mai.
Il Maestro delle api muore improvvisamente il 30 dicembre 1963 nella sua casa di Via dei Nobili, all’età di 88 anni, e da quel giorno c’è ancora chi lo ricorda in maniera indelebile a passeggiare per le strade del paese con l’immancabile cappello in testa e col sorriso stampato sotto ai grandi baffi neri.
“ Carlo Carlini aveva il miele sulla lingua quando insegnava. Ricordo sempre la sua figura che camminava dondolando leggermente sui sassi delle contrade. Come mio padre, anche lui quando prendeva un impegno dava una stretta di mano e basta”, scriverà Tonino Guerra negli anni 2000 parlando di un uomo onesto e gentile (tratto da “Carlo Carlini, maestro delle api”,
Diakronìa editore).
Roberta Tamburini