Home Attualita Carlo Bozzo, Caldari: “Autentico ricercatore della Verità”

Carlo Bozzo, Caldari: “Autentico ricercatore della Verità”

È un silenzio profondo, nella chiesa di San Patrignano a Ospedaletto, piena ieri pomeriggio. Tante le persone rimaste in piedi, fino alla piazzola esterna, per i funerali del giornalista Carlo Bozzo. Ci ha lasciati il 5 gennaio a causa di una malattia che lo ha prima preso, poi portato via molto velocemente. È un silenzio che si sente forte. Il bisogno di raccoglimento degli amici, tra cui tanti colleghi. Anche quelli di San Patrignano, dove Carlo per anni ha fatto da capo ufficio stampa. E dove era arrivato come ospite. Mai ha nascosto il suo passato di dipendenze e militanza armata.  “Il nostro cuore non si è perduto, i nostri passi non hanno smarrito la Tua strada… mai il tuo sguardo fuggirò“, sono i versi di un canto che questo silenzio lo rompe.

“Un tratto comune a tutti i ricordi che ho letto di Carlo in questi giorni è questa sua passione per la verità per l’autenticità”. Lo dice nell’omelia, di parole potenti e colme di fede, don Osvaldo Caldari, parroco di Ospedaletto. Da qualche tempo cappellano anche della comunità di San Patrignano, ha celebrato i funerali di Carlo Bozzo. Con lui sull’altare don Roberto Battaglia, don Stefano Vendemini, don Claudio Parma, che legge il Vangelo, le pagine della moltiplicazione dei cinque pani e dei due pesci come l’ha raccontata l’evangelista Marco. Non si sono mai incontrati Carlo e Osvaldo. Eppure il parroco lo tratteggia come solo un amico vero, che ti conosce a fondo, avrebbe potuto fare. Un amico vero, come Carlo è stato per molti. Parla di passione “dentro un’attenzione alle relazioni, nel rispetto del pensiero dell’altro, e questo mi ha colpito”, sottolinea Caldari.

“Ognuno di noi è un desiderio. Quello che ci fa a somiglianza di Dio è il nostro desiderio. In Dio questo desiderio è potenza, è azione. Quello che desidera lo realizza. Il desiderio di Dio si chiama amore. Con questo desiderio plasma la terra, la storia di ognuno di noi, guida il mondo nelle sue vicende.  Nell’uomo il desiderio Dio è ricerca. L’uomo cerca questa pienezza anche quando la cerca male. Anche quando non sa dove trovarla. La sorgente anche delle ricerche sbagliate è sempre dentro questo desiderio che anima l’uomo alla ricerca di una totalità, di una pienezza”.

“Penso a Carlo, a quel passato che io ho letto negli articoli e che lui non ha negato, e ha fatto diventare una risorsa. Il passato alla ricerca di una pienezza, cercata male. Cercata nella dipendenza, cercata nell’uso della violenza. Cercata male, ma con desiderio autentico. E quel desiderio lì il Signore lo ha benedetto”. Lo ha “benedetto” dice don Osvaldo, facendo diventare Carlo, “uno strumento perché in qualche modo la gente trovasse cibo”, potesse trovare una strada vera nella propria ricerca di pienezza. “Il cibo è la trasmissione della verità. Nella comunicazione, nel parlare ai giovani. Nel fare dei propri sbagli uno strumento perché i giovani non ne facessero. Cinque pani e due pesci che hanno sfamato tanta gente”.

Tante volte, aggiunge don Osvaldo, “noi attribuiamo a Dio un’ansia che Lui non ha. L’ansia delle nostre professioni di fede. Un’ansia che Dio non ha perché sa leggere nel cuore dell’uomo. Ecco allora vorrei dire grazie a questa testimonianza indiretta che mi è arrivata di Carlo, che non era tanto preoccupato  di fare la sua professione di fede, ma era molto preoccupato di vivere nella propria vita le caratteristiche della Verità: luminosa, garbata, attenta, che non esclude mai, che che sa trovare la ricchezza in ogni sua traccia”. Diceva Tommaso d’Aquino, “un teologo sicuro, un teologo doc”, sottolinea Caldari, che “ciò che viene da Dio non allontana da Dio ma conduce a Lui. Tutto ciò che viene da Dio: l’amore del bello, del vero, della giustizia, della lealtà, della comunione, dell’inclusione. Di tutto quello che volete. Credo sia questo il messaggio che possiamo raccogliere. Chiediamo la Grazia di raccoglierne il testimone e di essere anche noi dei ricercatori della Verità e di saperla riconoscere ovunque ami nascondersi. Adesso l’addio a Carlo e proprio un a Dio, tutte le nostre ricerche ci condurranno a Lui. E quindi a dio, Carlo”.

Diversi amici hanno concretizzato l’omelia di don Osvaldo con i loro ricordi di Carlo, acuti, profondi, a tratti ironici e soprattutto veri, come la storia di Carlo insegna.

“Tutti ti hanno definito, garbato: un giornalista, un collega, garbato. Ma cosa significa la parola garbato?  La riposta che mi sono dato è che noi non siamo più abituati ad essere trattati con gentilezze, con cura e con sincerità. Tu nelle cose ci hai sempre messo il cuore, cosa che credo ti abbia contraddistinto. Hanno riconosciuto tutti questa umanità diversa che hai incarnato”, dice il fotografo Giorgio Salvatori. Carlo non ha mai lasciato il tempo che ha trovato, ovunque sia passato. Il più delle volte probabilmente lo ha fatto inconsapevolmente.

“Quella di Carlo è stata una di queste vite con tante svolte e rinascite che dagli anni della giovinezza fino ad oggi non hanno fatto mai cessare quella ricerca di senso nel cui orizzonte si comprende quel modo di stare al mondo che ha fatto il Carlo che abbiamo conosciuto e amato”, sottolinea il professore Stefano Arduini. “Era un uomo giusto Carlo, e lo era perché era un uomo libero, una libertà che nasce dalla responsabilità verso gli altri e verso sé stessi, che gli ha fatto fare spesso scelte non facili o non vantaggiose. E per questo Carlo è stato sempre un uomo coraggioso da ragazzo come poi da adulto. Tutto questo traspariva nel dialogo che aveva con coloro che incontrava”.

“Negli ultimi anni tu e la tua famiglia avete affrontato sfide difficili, ma il modo in cui le avete vissute è stato per tutti noi, vostri amici, una testimonianza straordinaria. Abbiamo visto in voi la certezza che tutta la realtà, anche quella più ardua, racchiude un significato profondo e un cammino per giungere ad essere pienamente uomini”, ricorda il regista Otello Cenci.

Da diversi anni, Carlo Bozzo era anche un convinto volontario del press office del Meeting di Rimini. “Un professionista di razza, certamente, un uomo di profonda cultura e di grandi capacità comunicative, ma anche pronto a mettersi al servizio del Meeting. Uno che, se doveva scegliere un posto, occupava sempre quello meno in vista. Volontario del settore Comunicati stampa fin dal 2014, considerava un suo feudo intoccabile il comunicato quotidiano sullo sport. Anche se si trattava di un’esibizione di freccette o di beach volley, lui le raccontava con la sua penna di cronista con la stessa cura che avrebbe impiegato per scrivere di un convegno in auditorium”, ha detto Eugenio Andreatta, responsabile della Comunicazione della Fondazione Meeting.

Con queste parole ci si avvia alle battute finali. Don Osvaldo asperge la bara prima con l’acqua santa poi con l’incenso. Gli amici cantano ‘Knoking on Heaven’s door‘ di Bob Dylan, artista che a Carlo garbava parecchio. La cerimonia è finita, ognuno vuole abbracciare i familiari di Carlo, la moglie Cinzia e il figlio Federico. Vuole dire loro,  “ci sono. Spero, come Carlo c’è stato per me”. Con discrezione il feretro viene condotto fuori e messo sul carro funebre. Nel frattempo, su centinaia di persone, davanti alla chiesetta di Ospedaletto, scende di nuovo un profondo silenzio. Carlo si allontana, direzione il cimitero di San Patrignano dove riposeranno le sue spoglie mortali per suo desiderio.

L’omelia di don Osvaldo Caldari

“Un tratto comune a tutti i ricordi che ho letto e sentito di Carlo in questi giorni è questa sua passione per la verità per l’autenticità. Mi è sembrato l’elemento comune che in tanti hanno sottolineato, dentro un’attenzione alle relazioni, nel rispetto del pensiero dell’altro. E questo mi ha colpito. Proprio questo mi ha fatto pensare che le letture di oggi fossero proprio quelle giuste. Quando capita così mi commuovo sempre. In realtà, avremmo potuto scegliere altre letture, ma vedere che le letture del giorno è come se fossero state pensate proprio per questo momento è come se il Signore dicesse: ecco, questa è la Parola che avevo preparato, questa è la Parola che dono per interpretare il senso di questa esistenza.

Parto proprio da quello che abbiamo letto. Il primo pensiero che mi viene è che ognuno di noi è un desiderio. L’uomo è il suo desiderio. Quello che ci fa a somiglianza di Dio è il nostro desiderio. In Dio questo desiderio è potenza, è azione. Dio quello che desidera lo realizza. Il desiderio di Dio si chiama amore. con questo desiderio plasma la terra, la storia di ognuno di noi, guida il mondo nelle sue vicende. il desiderio di dio è questo amore. Nell’uomo il desiderio Dio è ricerca. L’uomo cerca questa pienezza anche quando la cerca male. Anche quando non sa dove trovarla. Ma la sorgente anche delle ricerche sbagliate è sempre dentro questo desiderio che anima l’uomo alla ricerca di una totalità, di una pienezza.

E allora il brano che abbiamo letto, di Gesù, della moltiplicazione dei pani ha molto da dire. La prima cosa che emerge è lo sguardo di Gesù sulla porta. Uno sguardo di compassione perché erano come pecore senza pastore. È come se Gesù dicesse: il desiderio che c’è, è nel cuore di ogni uomo, la commozione, la compassione di Dio è nel guardarci dentro. Senza giudizio, ma con un profondo ascolto. E in questo profondo ascolto legge la nostra fame. Ed è compassione, perché erano come pecore senza pastore. Si mise ad insegnare loro molte cose. E poi dice ai discepoli: voi stessi date da mangiare. Il Signore sente la fame che c’è nel cuore. Questo è bellissimo.

Penso a Carlo, a quel passato che io ho letto negli articoli e che lui non ha negato, ha fatto diventare una risorsa. Il passato alla ricerca di una pienezza, cercata male. Cercata nella dipendenza, cercata nell’uso della violenza. Cercata male, ma desiderio autentico. E quel desiderio lì il signore lo ha benedetto.

La Parola che il Signore vuole dire oggi è questa: Dio da sempre vede la fame che sempre c’è l cuore dell’uomo. Quella sete di verità che sempre conduce a Lui. Anche quando non sappiamo dove e come cercarlo.

E cosa fa Gesù nel Vangelo? Dice ai discepoli di dare alla folla da mangiare. e con che cosa Gesù sfama la folla? Con cinque pani e due pesci. Prende  quei cinque pani e due pesci, li presenta a Dio, li benedice, ringrazia Dio per quei cinque pani e quei due pesci e con quei cinque pani e due pesci sfama l’umanità.

Ognuno di noi penso sia rappresentato da questi cinque pani e questi due pesci, che Dio raccoglie sempre, benedice e moltiplica. Nella storia di Carlo, penso che sia la storia dei suoi talenti, che per quanto fossero tanti sono sempre cinque pani e due pesci. Non di più. Ma di più ha raccolto, ha benedetto e ha fatto diventare uno strumento perché in qualche modo la gente trovasse cibo.

Cibo, la trasmissione della verità. Nella comunicazione, nel parlare ai giovani. Nel fare dei propri sbagli uno strumento perché i giovani non ne facessero. Cinque pani e due pesci che hanno sfamato tanta gente. Io penso sia questo un po’ il messaggio che il Signore ci vuole lasciare. E questa storia benedetta diventa il paradigma della storia di ogni uomo. Noi siamo dei ‘ricercati’ da Dio, siamo sotto questo sguardo di Dio che non guarda mai lo spettatore, guarda sempre quel pane, vive e sente compassione e questa compassione. E questa compassione non è un sentimento di ripiegamento, ma la molla per l’azione. Da quella commozione epr la folla nasce la moltiplicazione dei pani, il Signore fa così con ognuno di noi.

La prima lettura in qualche modo aggiunge una sorta di formula, che potrebbe essere universale. Dice: Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da dio. chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi, Dio ha mandato nel mondo il suo figlio unigenito, in questo sta l’amore. Non siamo stati noi a trovare Dio, ma è lui che ha trovato noi. È lui che ha amato noi.

Tante volte noi attribuiamo a Dio un’ansia che Dio non ha. L’ansia delle nostre professioni di fede. Questa è un’ansia che Dio non ha Perché Dio sa leggere nel cuore dell’uomo. . e vede la nostra fede al di là di quello che diciamo, al di là di quello che proclamiamo. Quello che ci dice la prima lettura oggi è che non siamo tanto noi a cercare Dio, ma noi da sempre siamo dei ricercati da Dio. Non siamo stati noi ad amare, ma è Dio che ci ha amati per primo.

E qual è il frutto di quest’incontro? anche quando non ce ne accorgiamo, qual è il frutto di questo amore? È che la nostra vita produce amore, è capace di relazioni di accoglienza, di rispetto, di amore di attenzione. Questi sono i frutti dell’incontro di un’anima con dio. non siamo noi ad amare, ma è lui che ci ha amati per primo.

Ecco allora vorrei dire grazie a questa testimonianza indiretta che mi è arrivata di Carlo, che non era tanto preoccupato di fare la sua professione di fede, ma era molto preoccupato di vivere nella propria vita le caratteristiche della Verità. Luminosa, garbata, attenta, che non esclude mai, che sa trovare la ricchezza in ogni sua traccia. Me lo immagino così, da quello che ho letto, dai commenti che ho sentito.

Sono andato a cercare una citazione di san Tommaso d’Aquino, un teologo sicuro, un teologo doc. Dice una cosa secondo me molto bella e molto adatta a capire il percorso, la storia di Carlo.’Ciò che viene da Dio non allontana da Dio ma conduce a Lui‘. Tutto ciò che viene da Dio: l’amore del bello, del vero, della giustizia, della lealtà, della comunione, dell’inclusione. Di tutto quello che volete. Tutto ciò che viene da Dio non allontana da Dio ma guida a Lui, conduce a Lui.

Credo che sia questo il messaggio che possiamo raccogliere e spero che sia anche il messaggio che con le letture che abbiamo ascoltato il Signore ci vuole confermare.

Chiediamo la Grazia di raccogliere il testimone e di essere anche noi dei ricercatori della Verità e di saperla riconoscere ovunque ami nascondersi.

Adesso l’addio a Carlo è proprio un a Dio, tutte le nostre ricerche ci condurranno a Lui. E quindi a dio, Carlo.

Gli omaggi degli amici e dei colleghi

“Caro Carlo, in questi giorni ho avuto il piacere di sentire e leggere come molti colleghi giornalisti e da tutte le persone che hanno avuto modo di incontrarti, “è stato un onore averti conosciuto”.

Credo che significhi che uno nella vita, non solo ha fatto bene il suo lavoro, ma ha lasciato un segno.

Che cosa conta di più se non questo nella vita? che lasciare un segno di te, di quello che sei, che non hai vissuto invano, hai costruito relazioni vere, durature nelle quali ciascuno ha potuto riconoscere un valore. Al punto di dire che sei stato una persona “unica”.

Tutti ti hanno definito, garbato: un giornalista, un collega, garbato. Cosa che io immediatamente di te, non riconoscevo. Spesso eri così…

Ma cosa significa la parola garbato?  La riposta che mi sono dato è che noi non sono più abituati ad essere trattati con gentilezze, con cura e con la sincerità, tu nelle cose ci hai sempre messo il CUORE, cosa che credo ti ha contraddistinto.

Hanno riconosciuto tutti questa umanità diversa che tu hai incarnato.

Tutti noi che siamo qui ora, e non solo, perché abbiamo riconosciuto in te questa caratteristica; chiunque abbia avuto occasione di incontrarti, anche solo per un attimo, ha capito bene chi è stato Carlo. La tua ironia, la tua professionalità, il tuo acuto ingegno, la tua passione per il giornalismo, ma anche per tutta la vita intera, la tua etica, con te si poteva parlare di tutto con un uguale entusiasmo, passione.

Ma che razza di UOMO UOMO  sei stato?

Con te ho condiviso l’esperienza magnifica degli eventi di San Patrignano, oramai 20 anni fa…ed ho iniziato li insieme a Giacomo Muccioli, a fare il fotografo, anche se ancora non ero professionista, insieme a tanti amici che sono qui e che ho rivisto con immenso piacere ieri sera…Cavolo eravamo una bella squadra! Con te è nato subito un feeling di preferenza professionale, che si è tramutata ben presto e con facilità anche in una bellissima amicizia, libera e schietta.

Abbiamo lavorato fianco a fianco per diversi clienti fino a qualche mese fa, è sempre ho riconosciuto in te il mio punto di riferimento.

Mi hai confidato per primo della tua malattia, e ho cercato per questo di accompagnarti fino all’ultimo. E di questo mi sento privilegiato dei bei momenti passati insieme.

Ti voglio ringraziare a nome di tanti amici e colleghi, per quello che sei stato.

Non possiamo non avere in te, adesso più di sempre, un riferimento imprescindibile nella nostra professione e nella nostra vita.

Questa è la grande responsabilità, e l’eredità amichevole che ci lasci.

Perché credo che il mondo possa diventare più bello, con persone come te, grazie Carlo!!!”

Giorgio Salvatori

“Ci sono vite che sommano tre o quattro vite degli altri.

Frutto di tante svolte, tanti cambiamenti e di nuovi incontri che hanno condotto a nuovi inizi.

Che al di là del tempo concesso su questa terra sono state piene e ricche. Perché non è il numero degli anni a dare valore a una vita ma la passione con cui li abbiamo spesi.

E per questo sono state vite straordinarie.

Vite che pur nella loro essere tante vite assieme hanno conservato una tensione verso la ricerca di senso, una specie di filo rosso che via via è andato sempre più definendosi e approfondendosi.

Ecco quella di Carlo è stata una di queste vite con tante svolte e rinascite che dagli anni della giovinezza fino ad oggi non hanno fatto mai cessare quella ricerca di senso nel cui orizzonte si comprende quel modo di stare al mondo che ha fatto il Carlo che abbiamo conosciuto e amato.

Credo che ci sono due cose che chiunque abbia incontrato Carlo non ha potuto far a meno di notare: il suo senso della giustizia e la libertà. Non ho quasi mai avuto un dialogo con Carlo in cui non ci fosse una tensione verso questi due aspetti della nostra esistenza non in maniera astratta ma nel concreto delle esperienze che la vita ci pone davanti.

Era un uomo giusto Carlo, e lo era perché era un uomo libero, una libertà che nasce dalla responsabilità verso gli altri e verso sé stessi, che gli ha fatto fare spesso scelte non facili o non vantaggiose. E per questo Carlo è stato sempre un uomo coraggioso da ragazzo come poi da adulto.

Tutto questo traspariva nel dialogo che aveva con coloro che incontrava. E c’è una cosa che mi ha sempre colpito. Non si sottraeva mai al dialogo non solo con gli amici ma con tutti, anche fuori della cerchia di coloro che lo conoscevano e apprezzavano.

Una fiducia totale nella parola, una fede che proprio nell’esercizio della parola stesse la nostra più profonda umanità. Parlare, dialogare, discutere era per lui vivere con pienezza il rapporto con gli altri e in fondo dare un senso alla vita.

Una fede nella parola che non era mai assertiva, ideologica ma sempre piena di ironia perché, come avrebbe detto il suo San Tommaso, l’ironia non è altro che una manifestazione della nostra razionalità.

La parola anche come fondamento dell’amicizia come rapporto aperto all’incontro che non rinnegava le proprie convinzioni espresse sempre con estrema chiarezza ma al tempo stesso sempre disponibile all’ascolto. Ti sapeva ascoltare Carlo, ti prendeva sul serio e in questo modo ti sottraeva al dover mettere in scena te stesso cogliendo il tuo io più vero sia che si parlasse dei grandi temi universali che del suo Genoa (che in effetti per lui era un tema universale e dove forse era un po’ più resistente all’ascolto).

Negli ultimi tempi abbiamo passato ore al telefono parlando di un’infinità di cose da quelle più personali a quelle più speculative.  Ed era come sempre, lui ti inondava di interrogativi e considerazioni ed io andavo dietro alla sua scia felice di trovarmi come da ragazzi quando tutto si poteva mettere in discussione, sapendo che la verità si mostra come in uno specchio e in maniera confusa e solo a tratti per segni che devono essere interpretati.

Ecco Carlo non ha mai abdicato all’impegno di cercare di capire quei segni e questo sia nel suo lavoro che nel rapporto con gli altri.

Anche per questo ci mancherai Carlo, perché eri il fratello che tutti vorremmo avere, il fratello che ti accompagna e ti fa riflettere, che ti aiuta senza mostrartelo, che testimonia la vicinanza con la semplicità del gesto.

ave atque vale”

Stefano Arduini

“Caro Carlo,

grazie per la bella amicizia, nata con i figli a scuola e cresciuta in questi anni fino a diventare una compagnia profonda che ci ha permesso di gustare al meglio la vita.

Un’amicizia all’interno della quale, è stato possibile condividere i dubbi, le tante domande e gli interrogativi sul senso delle nostre giornate e del nostro fare.

Tu, di domande ne hai sempre avute tante e ti piaceva porle con una buona dose di fine ironia, condita da citazioni forbite, spesso ricavate dalle tue letture o dal grande Cinema di cui sei sempre stato un grande appassionato.

Prendo in prestito allora anche io, una frase tratta dal Signore degli anelli di Tolkien che amavi:

Non tocca a noi scegliere. Tutto ciò che possiamo decidere è come disporre del tempo che ci è dato.

Negli ultimi anni tu e la tua famiglia avete affrontato sfide difficili, ma il modo in cui le avete vissute è stato per tutti noi, vostri amici, una testimonianza straordinaria. Abbiamo visto in voi la certezza che tutta la realtà, anche quella più ardua, racchiude un significato profondo e un cammino per giungere ad essere pienamente uomini.

Nei nostri dialoghi più sinceri, hai sempre espresso una gratitudine immensa per i doni ricevuti nella tua vita: il tuo grande amore per Cinzia, l’orgoglio per tuo figlio Federico e la sorpresa per il bene che noi, tuoi amici, ti abbiamo sempre voluto.

Dicevi spesso che la vita ti aveva dato molto più di quanto ti aspettassi, e persino più di quanto pensassi di meritare!

Ti ho ripetuto più volte negli ultimi tempi: non cercare di prendere per te tutti i punti Paradiso! Ma evidentemente sei stato più veloce di noi.

Due ultime cose:

quando ti ho portato a fare una camminata in montagna mi ha maledetto. Ora sei andato ancora più in alto, rimedia benedicendoci!

Ci rivediamo presto per quella cena calabrese a base di Nduja e vini calabri.

Un abbraccio!”

Otello Cenci