La figura di Carla Ronci può davvero essere considerata icona credibile della santità “della porta accanto”, una santità spesa nelle piccole cose di ogni giorno, nel lieto e fedele compimento del proprio dovere, declinata nelle normali occupazioni dell’esistenza e nelle quotidiane preoccupazioni della gente semplice. Una vita, umanamente parlando, per nulla entusiasmante.
Di povera famiglia, non era riuscita a frequentare la scuola oltre la quinta elementare, e nella sua breve vita fu impegnata a gestire, insieme alla madre, un negozio di frutta e verdura. Eppure, incontrato personalmente Cristo all’età di 15 anni, non poté fare a meno di amarlo, di puntare su di lui, di vivere di lui e per lui, nella Chiesa, coniugando, nella tensione verso la misura alta di una vita illuminata dal Vangelo, l’amore di Dio con l’amore per il mondo. Carla fu una contemplativa.
Il suo diario e le testimonianze di quanti l’hanno conosciuta ci permettono di cogliere l’intensità e la qualità della sua preghiera profonda. Ma appunto perché contemplativa, dalla preghiera fu spinta con forza all’azione. Voleva che la sua vita fosse una “testimonianza viva”; per questo si impegnò a farsi prossimo, a partire da coloro che le vivevano accanto, prima di tutto nella sua parrocchia. Animatrice della pastorale parrocchiale non trascurò nessuna attività: animazione liturgica, coro, filodrammatica, gite, attività missionaria, amministrazione, carità verso i poveri. Ma fu soprattutto il campo dell’educazione a impegnarla fino all’ultimo ricovero in ospedale.
Educare ed evangelizzare per lei erano sinonimi, perché non si può che educare alla “vita buona del Vangelo”. Fondò il “cenacolo” che raccoglieva i bimbi e le bimbe più sensibili, per educarli a tenere aperto il cuore non solo alla vocazione alla famiglia, ma anche alla consacrazione totale a Dio, per mettersi al servizio specifico del regno, significando e annunciando nella Chiesa e al mondo, con particolare insistenza, la gloria del mondo futuro; e spese le sue energie, anche quando non le erano rimaste L molte, a fare catechismo ai gruppi di Azione Cattolica: beniamine, fiamme bianche, aspiranti o giovanissime.
Non solo nella sua parrocchia, ma anche come coordinatrice delle parrocchie vicine. Un coinvolgimento senza riserve, che nasceva dall’amore incondizionato a Cristo e perciò ai fratelli. Amore testimoniato dallo scrupolo diligente con il quale annotava settimanalmente sui suoi quaderni gli schemi degli incontri. Coprono gli anni dal 1963 al 1968 e sono diversi per ciascuna fascia di età, più semplici per i bimbi più piccoli, più articolati e arricchiti con rimandi evangelici per le giovanissime e le effettive. Tutti però ruotano intorno ad alcune idee che vengono ripetute: felicità (il segreto della felicità consiste nell’aver qualcosa da fare: darsi in ogni campo gioiosamente; qualcosa da amare: le anime; qualcosa in cui sperare: il bene, l’amore, il paradiso), amore (la capacità d’amare è la nostra vera ricchezza; questa è l’apertura attraverso la quale comunichiamo con Dio e col prossimo), incontro con gli altri (sappiamo che con gli altri è possibile vedersi senza incontrarsi, senza avere rapporti, senza comunicare.
Noi vogliamo l’incontro, la comunione col prossimo. Dobbiamo perciò l’arte della comprensione, del dialogo, del “voler bene”), cuore (con ogni diligenza custodisci il tuo cuore: ama, scusa, perdona, comprende, conforta, aiuta, ripara e si dona tutto. Chi custodisce il cuore acquista la vera libertà). Come si vede, sono idee tutte in positivo, che hanno di mira come unico obiettivo quello di essere guida verso la santità, una santità alla portata di tutti, alla quale ciascuna può tendere: la santità consiste nella conformità al volere divino, espressa in un continuo ed esatto adempimento dei doveri del proprio stato.
La santità non consiste nel fare cose straordinarie, ma nel fare bene le piccole cose del nostro dovere ordinario. Sempre ispirati dall’amore sono i consigli che Carla dà a sé stessa sulla necessità di avvicinarsi alle giovani con comprensione e empatia: Prima di moraleggiare bisogna saper piangere e ridere insieme; prima di discutere bisogna saper donare bontà, letizia, conforto. Prima bisogna molto amare, per comprendere, compatire, aiutare… E, ancora, dettato dall’amore è l’esame di coscienza che ella fa come “apostola e dirigente”: – Sono modello di pietà, di convinzione, di buon esempio? – Ho cercato di distinguermi dalle altre per farmi notare? – Nell’apostolato ho sempre agito per dar gloria a Dio? – Nell’apostolato son stata troppo esigente e incomprensiva? – Ho richiamato con insistente carità? Come tutti gli educatori anche Carla ha sperimentato le sconfitte. Questo non l’ha mai allontanata, però, dal suo compito, perché sa bene che l’educatore è “un servo inutile” e che solo la grazia di Dio può spingere alla conversione. Il vero bene che si fa non è sempre quello che si vede. Accade spesso che i fanciulli coi quali abbiamo creduto di perdere tempo restino i più fedeli; e se uno sul quale contavamo ci abbandona, chissà che il ricordo di una parola buona gli faciliti in extremis il ritorno a Dio. Scoraggiarsi è levare a sé stessi il poco coraggio che abbiamo, sotto il pretesto che non ne abbiamo abbastanza. Le difficoltà sono fatte per essere vinte. “Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo!”.
Invece di credere che lavoriamo invano, dovremmo essere confusi dalla portata dei nostri atti: non possiamo fare un passo senza pesare sull’universo. Iddio non ci chiede il successo, ma lo sforzo. Ora, lo sforzo compiuto per un fine soprannaturale non è mai perduto. Semina con tutto l’amore… Dio solo può far nascere il grano. Il modello è, come sempre, Gesù: Gesù è il grande educatore della relazione che deve avere il credente col mondo. Egli era di questo mondo e non lo era… è stato nel mondo come nella casa di suo Padre, ha amato e stimato tutte le creature e in tutte ha trovato dei segni del Padre suo.
Cinzia Montevecchi