L’INTERVISTA. Mario Galasso, Direttore della Caritas diocesana, tra la nuova nomina e un bilancio di questi quattro anni. “Lavoriamo per Dio non per l’Io”
L’appuntamento è per le 9 in Caritas. In via Madonna della Scala. Quando arriviamo c’è una calma insolita. Suoniamo. Saliamo al primo piano. Attraversiamo il grande portone e giriamo a sinistra. È lì, in fondo al piccolo corridoio, che Mario Galasso ha il suo ufficio. La porta è aperta (“ come sempre”). Appena varcata si è accolti da un leggio che custodisce il libro della Bibbia, aperto sul Vangelo del giorno. Il tavolo vicino è pieno di giornali e libri e un po’ spostata verso sinistra, la sua scrivania. A guardarlo, dritto negli occhi, c’è la statua di San Francesco.
Come a dirgli: “Ricordati per chi sei qui”. Il Direttore della Caritas di Rimini ci accoglie con un sorriso e la nostra chiacchierata è interrotta ogni tanto da qualche persona che viene a chiedere informazioni e l’accoglienza è sempre la stessa: un saluto a tutto sorriso. Riminese, ma residente a Riccione, 57 anni, Galasso è sposato con Maria Laura Gualandi ed è padre di Matteo e Chiara e, dal 2016, del giovane Mamadou, ragazzo senegalese immigrato in Italia. Il primo gennaio del 2018 è stato nominato Direttore della Caritas diocesana, primo laico ad assumere l’incarico. Successivamente è stato nominato delegato regionale di Caritas Emilia-Romagna e, da pochi giorni, è stato eletto nella Presidenza della Caritas nazionale con il ruolo di rappresentante delle Caritas del nord Italia.
Ci spiega concretamente di che cosa si tratta?
“L’Ufficio di Presidenza Caritas, di cui fanno parte tre Vescovi, di cui uno è il Presidente di Caritas italiana, il Direttore di Caritas italiana, e tre delegati delle Caritas del nord, centro e sud, è il massimo organismo di Caritas italiana. Suo compito principale è quello di realizzare la programmazione, ma si occupa anche di cose molto più concrete, come i finanziamenti, i progetti, addirittura c’è una responsabilità sull’assunzione del personale di Caritas italiana. Il mio è un ruolo puramente di servizio alla Chiesa. Una Chiesa in cui oggi c’è un clima di ascolto importante e questa è una cosa molto bella. Come ci ricorda quotidianamente Papa Francesco, la fraternità, la pace e lo stare vicino alle persone, accoglierle e farle sentire accolte, è fondamentale. E la Caritas ha il compito di educare la comunità a questo”.
Si aspettava questa nomina?
“Assolutamente no, tanto è vero che quando mi è stato comunicato sono rimasto sorpreso perché, di norma, viene eletto il delegato che ha più anni davanti a sè come mandato. E tra i delegati del nord, io sono quello con il mandato che scade prima, nel 2024. Invece mi è stata attribuita la maggior parte dei voti e questo ha un valore, personalmente, molto importante perché significa che il cammino fatto insieme agli altri delegati è stato apprezzato. Quindi sono contento perché, e lo dico da laico, vedo e tocco con mano una Chiesa che sta cambiando, che si sta interrogando e la Caritas con il nuovo direttore, don Marco Pagniello, e con il vescovo delegato, don Carlo Roberto Maria Redaelli, ci stanno dentro in pieno e quindi sono molto felice perché so che posso partecipare all’Ufficio di Presidenza portando quelle che sono le mie sensibilità, quelle che sono le cose che sento e so che le posso dire senza paura di essere giudicato. Non sono lì per essere semplicemente un signorsì, ma per cercare di apportare quello che secondo me può essere d’aiuto, perché la Caritas, e ci tengo a ribadirlo, la Caritas-Chiesa, sia sempre più vicina alle persone e alle comunità”.
È difficile gestire un’associazione come la Caritas?
“Diciamo che è molto complesso perché come Caritas siamo un Ufficio Pastorale e per poter operare abbiamo una cooperativa, Madonna della Carità, e un’associazione che si chiama Caritas Rimini. Una complessità anche in termini di persone, perché alcune di queste sono dipendenti, altre volontarie, e quindi quando si deve collaborare insieme non è sempre così facile. Una complessità che, però, ci deve sempre ricordare per chi lo facciamo. Noi, tutte le mattine, iniziamo il nostro lavoro leggendo il Vangelo del giorno e con il Padre Nostro perché ci devono far tenere a mente che le nostre fondamenta devono partire sempre dalla Parola. E quando ce lo ricordiamo, le cose vengono molto più facili; tutte le volte che, invece, di Dio mettiamo davanti l’Io, la cosa diventa molto più difficile perché per quanto io, per formazione e carattere, sia portato a dire noi, in realtà questo noi, oggi, non è così semplice. Anche all’interno della Chiesa e della Caritas di Rimini è più facile usare l’Io e quindi la difficoltà vera è proprio quella di cercare di camminare insieme e rendere più fraterne le nostre comunità. Anche a livello di Caritas parocchiali. E questo è un altro obiettivo fondamentale che abbiamo. Da questo punto di vista, grazie al Covid, se così si può dire, e al Piano Marvelli, stiamo facendo un lavoro molto capillare sul territorio della diocesi di Rimini che abbiamo suddiviso in tre aree che hanno come riferimento i comuni capodistretto, vale a dire Rimini, Riccione e Savignano. Perché uno dei rischi più importanti nel quale possiamo cadere è che a fronte delle tante difficoltà che incontriamo quotidianamente siamo rivolti al fare, a dare la risposta. Invece, come dico sempre, prima del fare e del dare, c’è l’incontrare. C’è il sapersi relazionare all’altro. Troppe volte, invece, questo fare è anche un fare che ci viene delegato dalle istituzioni e il rischio è quello di dire: facciamo da soli che facciamo meglio. Stiamo cercando, a tutti i livelli, anche come Caritas italiana e per questo sono contento di far parte della Presidenza, di smontare proprio questo fare. Papa Francesco dice che la Chiesa non è un Ong, le Caritas rischiano tantissimo di essere delle Ong quando si dimenticano che prima del dare qualcosa c’è l’incontro con gli occhi di chi ti sta davanti. E proprio con questa divisione territoriale c’è anche la volontà di stare vicino alle Caritas parrocchiali e insegnare loro a lavorare insieme. D’altro canto in questo periodo con il problema del caro-bollette e degli sfratti, noi, come Caritas, non riusciremmo ad arrivare da tutte le parti. D’altro canto in nessun documento c’è scritto che la Caritas deve pagare le utenze. Al contrario, l’obiettivo è quello di lavorare per il riscatto della persona, le Caritas devono lavorare al fianco delle persone. La Caritas deve lavorare in modo particolare perché le persone si sentano meno sole, perché la solitudine è una delle povertà più presenti al nostro interno”.