Il Papa ha fatto sentire la sua voce alla Chiesa in maniera insolita, per mettere fine ai dissidi provocati dalla remissione della scomunica ai quattro vescovi consacrati illecitamente da Lefebvre nel 1988. Insolita per il modo immediato e diretto con cui ha parlato: una lettera, per esprimere il sofferto rammarico per le incomprensioni e le “veementi” reazioni suscitate dal provvedimento. Il Papa non si nasconde i problemi: egli ha una consapevolezza esplicita della loro serietà, unita alla volontà di affrontarli di persona, evitando che scivolino nel sommerso di una critica che corrode la comunione. Il Papa ha a cuore la comunione e l’unità nella Chiesa: è la ragion d’essere del suo ministero, che l’ha indotto a scrivere la lettera; la stessa che l’aveva portato alla revoca della scomunica ai quattro vescovi. Il Papa vuole fare chiarezza, ad ovviare il riprodursi di equivoci e malintesi.
Carità e verità sono le due polarità di significato e d’intenzione della missiva.
La carità anzitutto, che nei confronti di chi ha sbagliato e si è allontanato prende la forma della “misericordia”: il “sommesso gesto di una mano tesa”, che schiude la via alla “riconciliazione” e al “ritorno”. È questo il senso della revoca della scomunica: la rimozione di un ostacolo, offerta come “gesto discreto di misericordia” per arrestare incomprensioni e divisioni e aprire vie di comunione. È la stessa carità a indurre il Papa a mettere a nudo i fraintendimenti del suo gesto e “il grande chiasso” che hanno provocato. La replica del Papa è forte, commisurata alla gravità della posta in gioco: la comunione ecclesiale e, con essa, l’annuncio credibile del Dio-Amore agli uomini del nostro tempo.
Scaturisce di qui la seconda polarità: la verità, che porta a fare chiarezza e quindi a relazioni di dialogo e di fiducia ritrovata. Anzitutto il Papa precisa che la remissione della scomunica non rimuove le questioni dottrinali: “Finché queste non sono chiarite, la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa, e i suoi ministri non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa”. “Con ciò viene chiarito che i problemi che devono ora essere trattati sono di natura essenzialmente dottrinale e riguardano soprattutto l’accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare… Non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962: ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità”. Questo significa che i disconoscimenti del Concilio, che non pochi hanno voluto vedere nel gesto del Papa, sono arbitrari e privi di fondamento. Per amore della stessa verità, il Papa ricorda – sul versante opposto – che non si può staccare il Concilio dalla bimillenaria tradizione della Chiesa: “Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive”.
Con la verità c’è la comunicazione, mediante cui è attinta e trasmessa. Il Papa riconosce, con spirito di autocritica, che qualcosa non ha funzionato sia nella ricerca di notizie utili a conoscere situazioni e persone, servendosi di mezzi nuovi, come internet: “Ne traggo la lezione – egli scrive – che in futuro nella Santa Sede dovremo prestare più attenzione a quella fonte di notizie”; sia nella trasmissione e spiegazione del suo provvedimento: “Un altro sbaglio, per il quale mi rammarico sinceramente, consiste nel fatto che la portata e i limiti del provvedimento del 21 gennaio 2009 non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione”. Al punto che “un invito alla riconciliazione… s’è trasformato nel suo contrario”. Un sincero riconoscimento che una più puntuale informazione avrebbe prevenuto cattive interpretazioni.
Sorprendente e ammirevole questo coinvolgersi in prima persona del Papa nel far fronte a un malessere nella comunità cristiana.
Mauro Cozzoli
docente di teologia morale