Focus sulla cessione della Carim a Cariparma-Credit Agricolè. Come si è arrivati a questo punto? Chi ci rimette? Chi ci guadagna? La crisi di un modello: il rapporto con il territorio
Banca Carim è salva, entro l’anno verrà ceduta a Cariparma-Credit Agricolè, ma a che prezzo? Fino a che punto ha premiato la convinzione di tenere il controllo locale della Cassa di Risparmio di Rimini per garantirne il rapporto con il territorio? A guardare quanto rimasto ai proprietari azionisti locali (0,194 euro ad azione), sembrerebbe nulla. Prima del commissariamento del 2011 il valore di un’azione era di 15 euro, all’epoca della ricapitalizzazione del 2012 era di poco più di 5 euro, fino a qualche mese fa di 1 euro… Chi guarda al bicchiere mezzo pieno sottolinea l’arrivo di una realtà finanziaria solida, una banca non di investimento sullo stile Lehman Brothers (per intenderci) ma nata con una vocazione sociale e in grado di garantire ai clienti depositari e risparmiatori maggiori opportunità e servizi. Il Presidente di Carim Sido Bonfatti, in un’intervista a Icaro Tv, sottolinea che non ci saranno ricadute sui clienti finanziati, che manterranno le loro linee di credito, né sui dipendenti per i quali non ci saranno licenziamenti né tagli di filiali. Vero è, tuttavia, che secondo fonti accreditate, difficilmente non vorrà avere mano libera su questo fronte chi ha voluto la Banca pagandola due soldi e ha voluto che questa prima dell’acquisizione fosse ripulita delle sofferenze: prima del passaggio a Cariparma – Credit Agricolè, la Carim, come le altre Casse di Cesena e San Miniato, sarà ricapitalizzata dallo Schema Volontario del Fondo Interbancario con 194 milioni e ripulita anche di molti dei crediti deteriorati in parte rilevati dal Fondo Atlante 2 e in parte ceduti.
Sul passaggio di Carim ai francesi, la cronaca di questi giorni è cosa nota. CariParma si prende una banca ripulita dalle “sofferenze”. Dall’altra parte, i soci ci hanno rimesso tutto, a cominciare da quello di maggioranza, la Fondazione, che vede volar via il proprio patrimonio e che nella nuova Carim avrà poco più del 2%. Cosa verrà riconosciuto dopo le trattative, che proseguono, ancora non si sa. Intanto Rimini perde il controllo della sua principale banca. Contatti con la nuova proprietà (che comunque resta una multinazionale) per salvare il rapporto con i riminesi sono in corso. Da più parti (istituzioni e imprenditori) si auspica che questo non venga scalfito. Per il presidente Carim, Sido Bonfatti, non c’era alternativa “in una situazione nella quale si pretende un grado di patrimonializzazione sempre superiore e siccome – ha spiegato a Icaro Tv – il patrimonio si raccoglie solo con gli aumenti di capitale, i territori di Rimini, Cesena e San Miniato non avrebbero potuto garantirlo”.
Colpa della crisi, delle tante aziende clienti fallite, dei crediti volati via? In realtà i mali iniziano molti anni fa e coincidono con la sconfitta del binomio Carim-territorio. Ci confrontiamo con un esperto di crisi bancarie sul tema. Il peccato originale starebbe proprio nella proprietà, la Fondazione. Una realtà che ha sempre lavorato in un’ottica di “incassiamo i dividendi e con questi che la Banca ci darà sempre, noi continueremo a dispensare benefici al territorio…” Una scontatezza che, a onor del vero, molte altre Fondazioni hanno avuto. Resta il fatto che il socio di maggioranza ha poco vigilato sull’operato della dirigenza dell’era pre-commissariamento (con un’inchiesta tra l’altro in corso). Fino a che c’erano i soldi, tutto bene, ma quando questi sono venuti meno, improvvisamente alla Fondazione, che aveva come unico asset le azioni Carim, sono sfumati patrimonio e reddito. Poi, si sa, sono arrivati il commissariamento, la ricapitalizzazione e il nuovo CDA nominato sulla base di un criterio di grandissimo valore tecnico, sembrerebbe con unica missione: riportare la Banca in salute per far sì che potesse esserci un acquirente.
Già nel 2012, di fronte alla necessità di ricapitalizzare, saltò fuori da alcuni mass media l’ipotesi di una cessione a Cariparma-Credit Agricolè. L’allora presidente della Fondazione, Massimo Pasquinelli, la commentò come una indiscrezione su tante, sminuendola. La Fondazione si battè per mantenere la banca in mano riminesi, sborsando 23 milioni di euro. L’idea di tenere la Banca al territorio, politicamente, sembra pagare sempre. Ma le cose sono andate come sono andate e alla fine la cessione è solo slittata. Azionisti e risparmiatori saranno tutelati? Forse più i secondi, ma rimane un dubbio. Il Fondo Atlante, necessario in questa operazione per rilevare gran parte dei crediti deteriorati, ha finito i soldi e il Fondo Interbancario di Tutela Depositi lavora con i soldi di altre banche. Tradotto: le banche sane pagano per quelle malate un sacco di soldi ed è una tassa che continuamente sale. A spese di tutti i risparmiatori del sistema. E il rapporto con il territorio sarà sempre più orientato da logiche che rispondono a criteri lontani e molto orientati al profitto: la Banca deve dare i soldi a chi li può ridare indietro guadagnandoci il massimo possibile e basta. Il direttore che ti dà i soldi sulla fiducia potrà anche rimanere, ma sarà sempre più schiacciato da logiche commerciali e di profitto decise a Parma o in Francia.
E la Fondazione? Dal 2018, ad acquisizione completata, cambierà tutto. Resterà solo una istituzione “di facciata”, senza più un centesimo da dare al territorio? È ancora presto dirlo, dallo stesse Ente di Palazzo Buonadrata le bocche sono cucite. Fonti accreditate ci riferiscono che molto dipenderà anche dalla fine che faranno i mutui accesi per la ricapitalizzazione di Banca Carim del 2012. Piangono anche i piccoli azionisti. “Mi attendo che avranno quantomeno la possibilità di beneficiare del successo che tutti auspichiamo per questa banca – afferma il Presidente di Carim – Si tratta della possibilità di prenotare ora e al prezzo attuale (molto depresso) azioni che potranno avere poi un valore molto elevato”.
La pensa molto diversamente l’associazione Cassa 1840 che raduna azionisti, correntisti e clienti Carim: “Non siamo soddisfatti. Avremmo voluto che il CdA avesse dimostrato attenzione anche verso gli azionisti che hanno sostenuto l’istituto finanziariamente dagli anni 90 sino al precedente aumento di capitale, e con la sua fidelizzazione alla banca come clienti, hanno consentito di evitare il possibile panico sui depositi Carim”. Secondo l’associazione proprio i piccoli azionisti sono stati sacrificati: dal 2010 ricordano che le azioni non hanno avuto mercato. “L’azionista è rimasto ostaggio del sistema che oggi ci dice che chi arriva con 194 milioni paga le azioni a 0,194 euro e che eventuali plusvalori futuri saranno di altri. Da un rapido calcolo la banca viene valutata, ante aumento di capitale, 10 milioni e quindi, come purtroppo temevamo, il valore del’Istituto da 250 milioni è stato bruciato; sono sbagliati i conti di oggi o quelli di ieri?”.
Alessandra Leardini