L’INTERVISTA. Il responsabile carcere Caritas racconta il ruolo dei volontari all’interno dei Casetti
Spesso la casa circondariale di Rimini finisce sotto i riflettori per l’alto numero di ospiti e le difficili condizioni che ne derivano – che in estate fanno parlare di sovraffollamento. Ma dietro questi numeri vivono volti, storie, persone. Ed è a questa umanità reclusa che Caritas dal 2006 offre il proprio servizio. Anzi, un accompagnamento, dentro e fuori dal carcere. Del Progetto “area carcere” (finanziato da Piano zona sociale salute e del benessere di Rimini nord), di cui Caritas è capofila, Viola Carando è l’«educatore ponte».
“Presto servizio con Caritas in carcere dal 2011, da un anno svolgo il compito di educatore ponte il collante tra gli enti che operano in carcere, la Direzione dei Casetti, e l’area educativa della casa circondariale. È la direzione stessa che ci permette a caritas e a tutti gli altri enti e associazioni di entrare in carcere e di operare in maniera sinergica per il recupero dei carecrati, perché tutte le persone abbiano una seconda possibilità. Personalmente seguo detenuti sia singolarmente sia in gruppo, in particolare il gruppo di ascolto e dialogo ‘Caffè corretto’, al martedì: ci si autoesplora attraverso la condivisione con gli altri. Si lavora sulla ristrutturazione del pensiero, si ricostruiscono nuovi orizzonti umani”.
Il “Progetto Carcere” riunisce tante sigle, coordinate da Caritas. Una vera squadra?
“Riunisce al suo interno una cordata di soggetti del Terzo Settore: la coop. Millepiedi, la coop. Centofiori, che si occupa prevalentemente di interventi per persone tossicodipendenti. Poi la Papa Giovanni XXIII che svolge un ruolo fondamentale con il progetto Cec, e l’associazione ‘Dire Uomo’. Composta da psicoterapeuti e psicologi, affianca uomini maltrattanti verso minori, famiglia e donne”.
Quale servizio svolge questa cordata?
“Il gruppo opera all’interno della casa circondariale grazie ad una istruttoria annuale del Comune di Rimini. La squadra coopera fruttuosamente assieme ai Servizi socio-sanitari per rendere un servizio multifunzionale. La bellezza di questo intervento è anche la capacità di dialogo e coordinamento tra associazioni e cooperative diverse per storia e sensibilità ma animate tutte dallo stesso obiettivo: potenziare le attività educative, pedagogiche e terapeutiche all’interno dei Casetti, per questi uomini reclusi”.
La Caritas è impegnata in carcere dal 2006. Che ruolo recita?
“Soprattutto il ruolo di coordinamento tra i vari enti, e attraverso l’educatore ponte mette a disposizione il supporto all’area educativa d’istituto, affianca cioè il funzionario giuridico pedagogico, la figura istituzionale che opera interno struttura. Caritas svolge dunque una funzione di mediazione e cerniera tra i detenuti e il resto dei servizi all’interno istituto, e opera di mediazione all’interno del gruppo di lavoro, e facilitazione con il mondo esterno. Oltre all’educatore ponte, un secondo operatore – Annalisa Natale – si occupa dello sportello carcere, l’ascolto settimanale aperto ai detenuti, per confrontarsi su diverse questioni: amministrative, giuridiche e di orientamento ai servizi all’interno del carcere stesso che magari non sono facili da comprendere con le situazioni di confusione mentale e solitudine che vivono i detenuti”.
Oltre ai due operatori, ci sono i volontari.
“Venti persone animano la vita penitenziaria, portano avanti attività di gruppi dialogici e di confronto, che permettono di riunirsi settimanalmente per riflettere e confrontarsi sui proprio vissuti, con finalità riparativa e di revisione dei percorsi di devianza. Tutti i volontari sono adeguatamente formati. Ogni mese è prevista la supervisione con lo psicoterapeuta. Ma è fondamentale sentirsi parte di un gruppo ed essere allineati sui servizi proposti in carcere e sulle situazioni difficili da affrontare. Non si può essere battitori liberi. Deve emergere uno sguardo positivo nei confronti di chi ha sbagliato e merita una seconda chance, e va rincorso l’abbattimento della recidiva, con percorsi di qualità che possono essere proseguiti fuori dalle sbarre”.
Quali sono i temi principali da affrontare con i detenuti?
“In prima istanza l’assenza di relazioni familiari, la solitudine, l’isolamento, difficoltà che si possono arginare solo se si crea una comunità. Questa comunità è un cuore che viene scaldato dai volontari con i gruppi di dialogo e le attività fuori dal carcere su richiesta dei detenuti stessi e dei loro familiari, un affiancamento finalizzato a percorsi di reinserimento e inclusione, condivisione anche fuori dal carcere di un piccolo cammino fatto insieme”.
Il reinserimento in società è decisivo e parte da lontano.
“Sul fronte del lavoro il grande interlocutore è Enaip Centro Zavatta, con il responsabile Raffaele Russo (nella foto con il gruppo detenuti impegnati nel progetto ‘Impastare la felicità’). Dentro al carcere sono organizzati percorsi di formazione. Ma scontata la pena – è strategico proseguire per riappropriarsi della vita fuori dalla devianza. Il ruolo del Consorzio Sociale Romagnolo (coinvolgendo coop e terzo settore) è fondamentale per il reinserimento di chi cerca una seconda possibilità”.
C’è anche una seconda squadra di volontari che opera nella casa circondariale.
“Sono volontari di espressione diocesana, con cui ci si incontra periodicamente 1 volta mese: Rinnovamento Spirito, Comunione e Liberazioone, suore francescane suor Gabriella, e don Nevio Faitanini, il cappellano istituto. Anche il Vicario generale Don Maurizio si occupa dell’aspetto pastorale carcerario”.
Non si parla mai del corpo di polizia penitenziale.
“In realtà svolge un ruolo strategico e di grande rilevanza. Il suo è un lavoro prezioso, – a stretto contatto con Direzione della casa circondariale e area educativa oscuro ma molto delicato”.