Sono opere di grande raffinatezza e di notevole valore stilistico ed iconografico. Sono accanto a noi, magari a pochi chilometri di distanza e spesso il visitatore distratto non si è mai accorto di tali “tesori”.
Un gap al quale cerca di dare una risposta “I Maestri e il Tempo”, la rassegnariminese ormai tradizionale, che ha deciso quest’anno di inserire nel suo calendario due trasferte nell’entroterra. Durante la prima di queste, Alessandro Giovanardi, storico e critico d’arte curatore della rassegna, ha “svelato” all’interno della Collegiata di San Martino, a Verucchio, “L’Asse del Mondo e l’Albero della Vita – Il Crocifisso del Maestro di Verucchio”.
Opera realizzata tra gli anni ’30 e ’40 del XIV secolo, il Crocifisso della Collegiata, evidentemente di scuola giottesca, è di paternità dibattuta. L’ipotesi più accreditata è che l’autore sia Francesco da Rimini, ma la questione, sottolinea Giovanardi, è secondaria: per la mentalità medievale, infatti, le opere d’arte sono il prodotto di una collettività, per lo più ecclesiale, e gli artisti non intendono esprimere una creatività individuale, quanto piuttosto manifestare l’azione dello Spirito Santo, del quale si limitano ad essere strumenti. Le opere, di norma, non venivano firmate, salvo nelle occasioni in cui i maestri lavoravano al di fuori dell’ambito geografico di appartenenza.
Pertanto è preferibile continuare a riferirsi all’autore come al “maestro di Verucchio”, il quale si dimostra narratore potente che racconta senza mai rinunciare ai simboli, imprescindibili nell’arte sacra tradizionale. Dal verbo greco symabllo, ovvero “mettere insieme”, “unire”, i simboli sono ponti che collegano la realtà terrena con quella celeste: cose comuni, come quelle che costituiscono le materie prime dalle quali si ricavano le sostanze necessarie per la pittura (legni, stucchi, tempere…), divengono strumenti di teofanie, quali sono le opere d’arte. I dipinti non sono semplicemente una biblia pauperum, dottrina per gli illetterati, ma offrono chiavi di lettura ulteriori anche ai dotti, permettendo di risalire dall’immagine al prototipo celeste.
Il grande Crocifisso conservato alla Collegiata è un’opera straordinaria. Essendone il modello, come è per tutti gli altri dello stesso periodo, quello di Giotto che si trova al Tempio Malatestiano, ne ripropone i fondamentali elementi stilistici, senza tuttavia dar luogo ad alcuna ripetitività. Ciascuno dei bracci della Croce termina con una tabella: in quella superiore troviamo il Cristo Pantocratore, quella in basso ospita la Maddalena, mentre i riquadri alle estremità dei bracci laterali presentano la Madre di Dio (a sinistra per l’osservatore) e San Giovanni Evangelista dalla parte opposta. Il volto del Signore, che esprime maestà nella sofferenza, è contornato da un’aureola aggettante.
Alle spalle del Santo Corpo è dipinto un tappeto ornato. La lettura di quest’ultimo elemento, proposta originale del professor Giovanardi, merita un’attenzione particolare: i ricchi tappeti intensificano il valore simbolico del corpo del Cristo Crocifisso come “velo del tempio”, quel velo squarciato che smise di occultare la Shekhinah, letteralmente “dimora”, ovvero la “Presenza Divina”, e che sarà simboleggiato dal templon, la barriera che cinge l’area presbiteriale, che in Occidente diverrà la balaustra e in Oriente l’iconostasi, pareti che al tempo stesso dividono e uniscono, nascondono e mostrano, perché il velo è squarciato, non eliminato. Non a caso apprendiamo, da numerose immagini, che i Crocifissi erano posti inclinati proprio sopra al templon.
Da qui la seconda chiave interpretativa della Croce: l’axis mundi. Tradizionalmente considerata come fatta del legno dell’Albero della Vita, sorregge il mondo e collega i livelli di esistenza: l’inferiore, quello dei trapassati, il terreno, quello dei viventi, ed il celeste, quello dell’eterna beatitudine e delle realtà superiori. Sempre secondo la tradizione, inoltre, il Golgota si erge sulla tomba di Adamo, il cranio del quale è spesso raffigurato ai piedi della Croce. Nel Crocifisso del “maestro di Verucchio”, però, quello spazio è occupato dalla Maddalena, figura particolarmente cara alla devozione degli Ordini Mendicanti, della quale Giovanardi nota che: <+cors>“… è come conficcata nella terra, per innalzarsi al Cielo”.
Così, in queste pitture in cui gli spazi si collegano e il tempo collide, le simbologie si stratificano, in una poetica che sintetizza la sapienza, rendendola intellegibile ai semplici e feconda per gli eruditi.
Filippo Mancini