Sono le dieci del mattino del giorno di Natale. Alla Capanna di Betlemme tutte le persone che quotidianamente accogliamo dalla strada sono lì, pronte, ben vestite, curate e profumate, in attesa.
Quest’anno il pranzo di Natale non è previsto alla Capanna: niente fornelli accesi, niente lunghe tavolate di barboni seduti uno di fianco all’altro, niente di niente.
In attesa, dunque, di cosa? I nostri accolti stanno aspettando le trenta famiglie di Rimini e dintorni che hanno dato la loro disponibilità per invitarli a casa propria. Qualche ora, la durata del pranzo, è sufficiente per dare loro la possibilità di trascorrere un Natale diverso, nel calore di una famiglia, in una normalità perduta, ma non dimenticata, in un clima più intimo dove sentirsi maggiormente riconosciuti e valorizzati. Questi i principali motivi che hanno animato questa iniziativa.
All’inizio molte titubanze. Temevamo che pochi avrebbero risposto alla nostra proposta. Invece, appena resa pubblica la proposta, sono bastati pochi giorni per riuscire a collocare tutti nostri accolti nelle varie famiglie. Ad alcuni abbiamo persino dovuto dire di no: sono state di più le disponibilità rispetto al numero dei senza fissa dimora. Poi ci siamo chiesti come avrebbero vissuto gli accolti un invito presso famiglie sconosciute. Anche rispetto a questa perplessità siamo stati incoraggiati nel vedere il fermento dei preparativi, il desiderio di volersi bene dando valore e dignità a se stessi, di non fare una brutta figura, di non essere di meno a nessuno.
Abbiamo potuto avere una reale conferma della buona riuscita, però solo dopo aver condiviso ciò che si era vissuto quella giornata, al ritorno di tutti dalle famiglie.
“Sono stati davvero buoni con me, mi hanno anche fatto il regalo” racconta Antonio; prosegue Gianfranco “Veramente una bella famiglia, sono stato proprio bene; mi hanno detto che non sarebbe finita qui e adesso vediamo quando mi inviteranno di nuovo”; “Abbiamo mangiato un sacco di cose buone e poi mi hanno fatto vedere il concerto del mio cantante preferito” dice Serigne. Lorenzo, che è stato a pranzo dal vescovo, ci mostra subito l’icona che gli ha regalato e racconta: “Oh, il vescovo mi ha fatto il caffè! Oh, l’ha fatto lui e me lo ha servito!” e poi Giuseppe che semplicemente dice: “Natale in famiglia… tutta un’altra cosa…”.
Commenti positivi anche dalle stesse famiglie che non hanno avuto alcun problema nella relazione con queste persone troppe volte lasciate ai margini e, anzi, hanno espresso l’intenzione di mantenere l’invito aperto anche durante l’anno. Nei giorni successivi al Natale abbiamo ricevuto telefonate di persone che, non essendo libere per il giorno di Natale, chiedevano se potevano aderire alla proposta per gli altri giorni dell’anno.
Possiamo iniziare a sognare che l’azione buona di un giorno speciale possa diventare prassi quotidiana non di pochi uomini di buona volontà, ma di tutta la cittadinanza riminese… e allora forse un giorno non ci sarà più bisogno di una Capanna di Betlemme. Ogni casa potrà diventarlo.
Elena Lazzari