Nel decennale della morte di Marco Pantani l’allora sindaco di Cesenatico ricordò di quando era studente a Bologna e, con le imprese del Pirata ancora negli occhi, pedalava sul ponte di via Stalingrado immaginando che quell’inguardabile infrastruttura fosse una salita delle Alpi o dei Pirenei. Io a Bologna affrontavo il ponte di San Donato che a bruttezza aveva da dire la sua ma rappresentava l’accesso alla città dei giovani e degli incontri. Questo per dire che io il ponte ciclopedonale sopra via Roma lo avrei fatto certamente diverso, come tutti i riminesi. Ma dopo essermi abituato a ponti deprimenti e dalle pendenze mica tanto agevoli, soprattutto con le bici scassate da studenti (come noto nessuno studente sano di mente girerebbe in zona universitaria a Bologna con una bici di valore), la prendo con filosofia e colgo il positivo ovvero che non c’è più bisogno di attraversare la strada. Poi non mi fa impazzire neanche l’illuminazione notturna con quell’effetto stellato che fa un po’ presepe e un po’ Las Vegas, ma anche qui è questione di gusti. E non facciamo sempre i provinciali: non mi stupirei se quel ponte fosse inserito insieme al ponte di Tiberio nel materiale promozionale per il mercato russo e balcanico, che predilige robe luccicose e splendenti. Insomma, anche se non piace il ponte non è un concetto assoluto: dipende da come lo si guarda. Il trucco è farlo diventare un concetto della mente piuttosto che un concetto di lamento.
Il Caffè Scorretto di Maurizio Ceccarini