La Riviera non vedeva un pienone così dagli anni della Dolce Vita”. L’incipit di un servizio da Rimini trasmesso da un tg nazionale lascia un po’ perplessi. A meno che non si riferisse alla Dolcevita inteso come discoteca estiva viserbese che tale nome assunse per un certo periodo negli anni ’90, ma ne dubito, con “gli anni della Dolce Vita” si può effettivamente individuare il periodo a cavallo del film di Fellini uscito nel 1960. Ma la definizione si riferisce quasi esclusivamente a Roma e agli ambienti dove crebbe quel lifesyle, come diciamo oggi noi gente di un certo livello. Poi d’estate qualche scintilla della Dolce Vita romana arrivava magari anche in Riviera, dove però esplodeva piuttosto il turismo per le masse, quello che permetteva una vacanza a prezzi abbordabili a tutta l’Italia dal proletariato in su.
L’impressione è che quell’incipit nascesse dal presupposto che essendo Fellini di Rimini, quel che è felliniano è anche riminese. Quando sappiamo bene che non è proprio così automatico, anzi. Proprio qualche giorno prima avevo ascoltato persone di cultura sostenere che rendere Castel Sismondo uno spazio felliniano è una forzatura: Fellini va celebrato ma non in spazi di tutt’altro contenuto storico.
Non entro nel merito ma sono ormai sempre più convinto che a Fellini più cerchi di prenderlo e più ti scappa via.
Il Caffè Scorretto di Maurizio Ceccarini