Alle prime asperità del Colle di Covignano, dove dalla via omonima che lo percorre si diparte la via San Cristina, si trova ciò che fu la parrocchia della mia fanciullezza: Sant’Andrea dell’Ausa. Una costruzione che risale al XII secolo. Era conosciuta come la Cèsa dè Curcifèss (Chiesa del Crocifisso) per un antico, pesante, forse anche artistico, Crocifisso in legno venerato da tempi memorabili.
Dopo l’ultima guerra venne sconsacrata. Il prosieguo dell’attività parrocchiale fu assicurato dalla costruzione di una nuova chiesa, più ampia e funzionale a pochi passi giù nel piano.
Nei miei ricordi…
E quell’antico piccolo fabbricato è ancora lassù, triste dimenticato. Mi giunge ancora l’eco delle grida di noi bambini, sul sagrato, nel gioco con la palla di stracci e l’anziano prete don Serafino in mezzo a noi a regolare i nostri… eccessi. Quel fervore di parrocchiani che brulicavano attorno nei giorni festivi si è spostato verso la città e disperso nel traffico. Pure don Serafino Massari ci ha da tempo lasciati. Era un parroco dai modi alquanto rudi, a volte addirittura maneschi ma, forse, più educativi e credibili di tanti labili buonismi. Non a caso trovava, a differenza di quanto succede oggi, approvazione e stima dai nostri genitori. Non faceva certamente differenza tra poveri e ricchi.
Una differenza che, allora, pesava molto su ogni cosa. Non ricordo possedesse una sua bicicletta. Io l’ho visto sempre a piedi, anche in occasione delle benedizioni pasquali dove, però, riusciva a racimolare qualche soldino per ricompensare i chierichetti e fare un po’ di elemosina agli ultimi dei parrocchiani.
L’uomo il prete
Era un uomo prima di essere un prete!
La piccola parrocchia, priva di possedimenti terrieri (fonte di ricchi proventi) si reggeva quasi unicamente su ciò che le veniva dalle celebrazioni a pagamento. Se si fosse chiesto al parroco come andassero gli affari in parrocchia, ricordo che rispondeva: «L’è ’na gran fadiga!» (è una gran fatica!).
I più sprovveduti potevano azzardare a ribattere: «Come mai don Serafino?».
«Come mai, come mai….» e cominciava a spazientirsi e, mi ricordo, ripeteva: «Quand un zira la Crosa!?» (Quando non gira la Croce!?).
Intendeva dire, con quelle parole, che scarseggiavano le morti e di conseguenza i funerali.
Chi pensasse di giudicarlo dal suo tratto rustico, risoluto, non avrebbe avuto difficoltà a trovare consensi tra chi poco lo conosceva; snaturando, però, il vero grande animo di don Serafino. Basta solo scoprire l’esemplare curriculum vitae di quanti sono cresciuti con lui per avere conferma. Potrei cominciare dal mio amico Menico che gli è stato intensamente accanto in funzione di chierico. Cominciò a seguirlo quando aveva appena cinque anni d’età. I ceffoni ricevuti non sono bastati a Menico ad offuscare l’immagine, e il caro ricordo, del suo parroco. Con la sua bontà istintiva aveva facile breccia tra noi bambini.
In certi giorni di gran festa un folto gruppo di chierici faceva da corona attorno all’altare. A volte, però, succedeva che a qualcuno di loro sfuggisse qualche vivacità di troppo. Don Serafino, pur intento a celebrare, non esitava a voltarsi irritato schiaffeggiando l’intemperante e redarguendolo rumorosamente di fronte ai fedeli.
Chiaro che, qualche volta, poteva trovarsi con l’altare un po’ sguarnito di aiutanti…
Vai Menico e fatti onore!
Un pomeriggio, alle celebrazioni dei Vespri, dove partecipavano le sole donne, si trovò senza neppure un conduttore del Rosario. C’eravamo solo io e Menico, poco più che cinquenni. Io, per la mia timidezza, ero negato per tale mansione. Menico, invece, si fece ardito:
«Don Serafino, potrei condurre io la recita del Rosario» e lui rispose «Nu fam rid t’si do cianti!…» (non farmi ridere, sei troppo piccolo!…).
Poi pressato dagli eventi, e anche un po’ disperato disse: «Ma… ti senti proprio in grado di recitarlo?».
«Certamente, don Serafino. Sono molto capace!» rispose fieramente Menico spingendo sui piedini.
La situazione da “ultima spiaggia” dovette convincere il parroco a confidare in quel piccolo incosciente. «Allora … coraggio. Vai pure e … fatti onore!» lo incoraggiò il don.
Purtroppo, Menico, così minuto, non riusciva a polarizzare l’attenzione delle pie donne, riscuotere la loro fiducia. Poi, l’emozione che lo aveva preso lo costrinse ad una vocina flebile, tremolante. Le donne, probabilmente, lo ritennero uno scherzo o, forse, snobbandolo, non si decidevano a risponedere alle sue invocazioni. Don Serafino, allora, si voltò come una furia e, rivolto, a loro gridò stizzito: «So, arpundì! Cum’èla ch’an’arspundì?!» (Su, rispondete! Come mai non rispondete?!)
L’armonia ritornò immediatamente e la funzione proseguì tranquilla sino alla fine nelle mani di quel “minuscolo”, piccolo conduttore. Alla fine don Serafino lo abbracciò (un gesto inconsueto per lui…) e regalò a Menico una piccola riproduzione del Crocifisso simbolo della parrocchia. Quella reliquia ha sempre accompagnato Menico in tutte le sue peregrinazioni e, a suo dire, l’ha sempre sorretto. La mostrò, piangendo, al suo unico figlio morente, in California, strappandogli l’ultimo sorriso…
Ennio Leonardi