Fahim bigiotteria è uno dei tanti negozietti di chincaglieria di Borgo Marina. Per la precisione si trova all’angolo di via Roma con Corso Giovanni XXIII, all’altezza del semaforo, lato monte. Fino a pochi anni fa, uno dei due locali oggi stipati di collane e altro, era il piada e cassoni Jonny. Lavoravano lì tre o quattro persone, in una stanzetta dalle temperature alte come l’inferno, con la testa china sopra i testi sempre roventi su cui si cuoce la piada. Tanti clienti, cassoni e piade buone, e negli ultimi anni anche qualche citazione sulle guide turistiche della città. Poi, nel 2007, Jonny chiude. Il proprietario viene arrestato per spaccio. All’interno del suo negozio le forze dell’ordine trovarono 3 kg di fumo. Interrogato, il “piadinaro”, disse che la decisione di iniziare a spacciare fu presa perché l’alta presenza di immigrati della zona aveva fatto calare il lavoro.
Borgo Marina è sempre stato un quartiere particolare di Rimini. Prima della legge Merlin, in via Clodia, c’era il bordello della città, e, dalla fine degli anni ‘90, probabilmente a causa della vicinanza con la stazione ferroviaria, è diventato il quartiere degli immigrati. Prima senegalesi e bengalesi che hanno aperto negozi e botteghe alimentari di spezie in via dei Mille, Mameli e in Corso Giovanni XXIII, poi cinesi, soprattutto nell’ultimo tratto di via Gambalunga, e poi, di seguito, molti altri. Nei primi anni 2000 gli immigrati avevano soprannominato questo quartiere: Bangladesh. Ci vediamo questa sera? Dove? A Bangladesh, ovvero in Corso Giovanni XXIII. Nel 2004 è arrivata anche la moschea. Per un lungo periodo, nonostante le normali difficoltà della convivenza (non meno problematiche anche dove si sta tra riminesi e riminesi) sembrava ci fosse un equilibrio.
Ora, invece, circola ovunque la parola ghetto. La presenza di stranieri è molto spiccata e l’immagine stessa del quartiere lo manifesta nei negozi, nelle persone che si muovono per strada, negli odori delle botteghe. Il termine ghetto, però, non piace all’assessore alla Sicurezza, Jamil Sadegholvaad.
“Non si può e non si deve parlare di ghetto perché non c’è alcuna volontà di ghettizzare le persone. Ci sono dinamiche non facili da identificare per cui un quartiere della città diventa, nel tempo, un quartiere di immigrati. È successo in tutte le grandi città del mondo, basta pensare a Chinatown o Little Italy. Di sicuro Borgo Marina è una zona che oggi presenta delle problematiche particolari sulle quali, però, noi abbiamo sempre vigilato sia con controlli alle attività commerciali sia con l’attività delle forze dell’ordine contro la criminalità”.
Eppure nell’ultimo periodo sembra che le tensioni si siano acuite.
Chi vive o è costretto a passare per Corso Giovanni XXIII ha reazioni contrastanti. Le lamentele sono tante, come ha dimostrato l’assemblea indetta dal consigliere comunale del PdL, Gioenzo Renzi, lo scorso 10 settembre. C’è chi parla di situazione insostenibile, di sporcizia, degrado, impossibilità di uscire la sera per paura che accada qualcosa, perché si teme di essere vittime di un’aggressione. Alcuni fanno l’equazione moschea uguale spaccio e degrado. Per altri è la presenza delle oltre 40 botteghe gestite da “non riminesi”, per altri ancora è il fatto che molti immigrati vivono stipati in piccoli appartamenti.
Quali che siano le motivazioni, la tensione è palpabile. Emerge, soprattutto, una sconfitta: Borgo Marina ha perso la propria identità, e i cittadini vogliono riconquistarla. Ma è davvero una perdita d’identità che va riconquistata con azioni eclatanti?
“La situazione è migliorata – racconta il proprietario di una storica bottega di apparecchi elettrici – da quando sono aumentati i controlli e la presenza della Polizia”.
Spesso la presenza degli immigrati è considerata la principale causa del malessere che si respira in alcuni quartieri. Ma è vero? La convivenza è difficile, si scontrano mondi e modi di vivere diversi, ma è anche vero che talvolta le problematiche, certamente esistenti, vengono drammatizzate e rese difficilmente gestibili anche a causa dell’immagine stereotipata che dell’immigrato ha una parte della popolazione. In effetti, intervistati sulla situazione, alcuni residenti lamentano una situazione difficile, ma quando si chiede di specificare quali siano i problemi non sanno più cosa dire, tolto qualche vago, «sporcizia, rumore e altro». Ma non sono meno rumorose o sporche o difficili da vivere altre zone della città come la vecchia pescheria o la zona delle cantinette, e non certo a causa di bengalesi, senegalesi e maghrebini.
L’identità non si perde ma si trasforma. Una pendolare racconta che il quartiere le ricorda molto certe zone di Parigi colorate e vivacizzate dagli immigrati. Entrare in una comunità vuol dire trasformarsi e trasformarla, prendendo e dando. Borgo Marina non è un ghetto, è il primo quartiere multietnico della città. L’Amministrazione, i residenti e gli immigrati devono fare in modo che non si trasformi in un ghetto.
Stefano Rossini