E così, ridendo e scherzettando, siamo arrivati all’Halloween di seconda generazione. Nel senso che la mia generazione, quella che alla fine degli anni ‘90 partecipava alle prime feste a tema, oggi ha dei figli nati in un mondo in cui Halloween c’è sempre stato. E adesso vai a fargli capire che quella ‘ricorrenza’ con le nostre tradizioni c’entra come la maionese nei passatelli in brodo. Facciomocene una ragione, il danno è fatto. Non sono servite le spiegazioni, le crociate, gli anatemi, i moralismi: bambini e ragazzi oggi aspettano la fine di ottobre per Halloween. Perché i loro genitori hanno dato per scontato che conoscessero il vero senso delle ricorrenze di Santi e Defunti e glielo hanno spiegato poco e male. Perché la scuola ha preferito lasciar fare piuttosto che avventurarsi in crociate insidiose, vedi i presepi che è meglio non farli e problema risolto. E perché comunque se la corazzata del marketing decide che è un prodotto su cui puntare, c’è poco da fare.
Rimane forse un’ultima strada da tentare: provare a farla sembrare una cosa da boomer.
“Sai che io sono andato alla prima festa di Halloween di quella discoteca?”; “Sai che ai miei tempi per trovare le cose di Halloween dovevamo girare un sacco di negozi, e mica ordinavi su internet”; “Vuoi sapere da cosa mi travestivo? Adesso cerco le foto. Perché mica ce le facevamo coi telefoni”, eccetera eccetera.
Magari perdono l’entusiasmo se vedono che comincia a essere roba da vecchi. A noi giovani di fine millennio l’anagrafe, ahinoi, lo consente. Seguitemi per altri consigli di psicologia inversa.