“Non mi pento di aver mentito, rubato, tradito, ucciso, pur di aver cara la vita, perché c’è della gente che neanche sa di vivere. È come se non si rendesse conto che esiste. Forse è proprio qui la differenza. Io ho sempre avuto cara la pelle attaccata a quel che mi rimaneva del corpo. E per tutti i diavoli, l’ho difesa strenuamente. Ho dovuto talmente difendermi che per far sapere la verità sulla mia storia, ho dovuto scrivermela io stesso. E intanto che c’ero, raccontare cos’è un uomo, cos’è la vita e cosa significa metterla su carta. Per quanto è vero che mi chiamo Long John Silver, detto Barbecue”.
Björn Larsson (nella foto), scrittore svedese, classe 1953 ha scritto molti libri ma La vera storia del pirata Long John Silver è il suo più famoso, forse perché è la storia di un comprimario dell’amatissimo romanzo di Robert Louis Stevenson, L’isola del tesoro.
Björn Larsson ha chiacchierato con gli studenti del liceo “Einstein” di Rimini, in un bellissimo incontro che ha riempito l’aula magna dell’istituto di giovani studenti attenti, libro e domande curiose alla mano. I temi della libertà, dell’avventura e del fantastico sono tipici della bibliografia dello svedese ma è il mare il vero amore di Larsson e con esso la navigazione.
Björn, cominciamo dall’inizio. Ha sempre pensato che sarebbe diventato uno scrittore?
“No, io volevo fare il geologo. Avevo 15 anni quando partii per l’America e non avendo gli strumenti di comunicazione che ci sono adesso ho cominciato a scrivere delle lunghe lettere a mia mamma, già da quando ero sulla nave. Mi ricordo che l’unica telefonata che riuscii a fare, a Natale, mi costò tantissimo… insomma non mi rimaneva che la scrittura. Quando sono tornato dall’avventura americana qualcosa era cambiato”.
Aveva già deciso che voleva diventare uno scrittore?
“Si. Mi ero messo in testa che per diventare uno scrittore bisognava andare nei caffè di Parigi, sedersi a un tavolo e scrivere… proprio come avevano fatto i grandi della letteratura che tanto ho amato. E l’ho fatto, sono partito, mi sono seduto a quei tavoli e sono diventato uno scrittore. Un giorno hanno pubblicato un mio racconto in un’antologia e così è cominciata la mia carriera”.
Poi?
“Ho inviato una mia raccolta di racconti allo stesso editore che mi aveva pubblicato in antologia e per risposta ho ricevuto un contratto. Sono uscito, ho comprato una bottiglia di champagne e ho brindato. Per 12 anni ho provato a scrivere un romanzo ma non sono riuscito a creare niente di meritevole”.
Ma poi è arrivato il Cerchio Celtico, com’è nato?
“È nato sul mare, come sono nati molte delle mie opere. Allora vivevo su una barca, ci ho vissuto per 4 anni. Una notte, durante una bufera di neve attraccò vicino alla mia casa/barca un catamarano che aveva bisogno di elettricità. Un personaggio un po’ strano mi chiese aiuto, una donna sembrava «nascosta» nella sua barca. Insomma, un intrigo di piccoli misteri; dopo varie peripezie sono anche stato interrogato dalla Polizia che pensava fossi un trafficante di droga. La polizia capì che io non c’entravo nulla e volevo solo dare una mano al proprietario del catamarano e mi lasciò andare. Ma la notte quella barca ripartì e la mia compagna sentì un urlo di donna provenire da quelle cabine che lasciavano il porto. Mi resi conto che quello poteva essere l’inizio di una storia…e lo è stato. È l’inizio del Cerchio Celtico, infatti”.
Arriviamo al mare. Quanto è importante per lei?
“Tantissimo. Ma lo è per me come persona e non per me come scrittore. Da scrittore ho sempre letto, perché penso che la letteratura sia il modo più veloce per arrivare alle esperienze della vita che non ho ancora fatto. Leggere è come colmare una mancanza di un’esperienza non fatta”.
Angela De Rubeis