“Nel mondo c’è un solo dolore sopportabile, il dolore degli altri”. Sono le parole usate da William Raffaeli, presidente della Fondazione Isal, per aprire il suo intervento durante l’incontro Evitare il dolore inutile: una sfida per la dignità della persona. L’incontro, diretto a medici e operatori socio-sanitari, aveva come obiettivo quello di fare il punto sulla situazione sulle cure del dolore cronico e chiarire i termini della legge. Raffaeli si occupa da anni di questo tipo di dolore e dal 2010 forma medici che siano in grado di trattare con i pazienti affetti da tale disturbo.
“Spesso si banalizza il dolore, ma le stime sono alte e in aumento – afferma – oltre 12 milioni di persone al mondo sono affette da dolore cronico e il 25% della popolazione europea ne soffre”.
Una conferma è arrivata anche durante l’ultima edizione della Giornata Nazionale del Sollievo: ai pazienti all’interno delle strutture sanitarie è stato consegnato un questionario per sapere cosa si aspettassero dalle strutture stesse. Dalle risposte è emerso che i malati si fidano della struttura, che non temono morte o mancata guarigione, ma temono che il dolore che provano venga sottovalutato.
“È a questo che dobbiamo guardare – sostiene Raffaeli – dobbiamo premurarci di osservare il paziente a 360 gradi e fornirgli le cure più adeguate e capire da che tipo di dolore è affetto”.
Ma quanti tipi di dolore esistono e cosa si intende per dolore cronico?
“Esistono due tipi di dolore. Quello acuto e quello cronico. Il dolore acuto è una percezione che deriva da una lesione dei tessuti, come una caduta dalla quale deriva un osso rotto. Ha una durata limitata nel tempo ed è un dolore sano perché permette al medico di curare il paziente. Il dolore cronico, invece, non deriva da una patologia fisica e perdura per lungo tempo. Si riscontra in situazioni conseguenti ad un’amputazione ossia ’arto fantasma dove il cervello deve riorganizzare le proprie percezioni e riproduce una sensazione di dolore. Questo crea l’impressione che l’arto ci sia ancora. È una malattia in sé, che va curata come qualsiasi altra e non con semplici analgesici. Il dolore non è quindi sempre dello stesso tipo e la sua intensità dipende anche dalla percezione che se ne ha”.
Che cosa caratterizza quindi la diversa percezione del dolore?
“La percezione del dolore dipende dalle nostre caratteristiche fisiche e biologiche. Questa variabilità non indica la fragilità della persona, quindi è inutile tentare di dare una tara al dolore. Un esempio è la donna che per caratteristica biologica percepisce il dolore in maniera diversa dall’uomo. Lo modula in maniera differente. Se così non fosse non riuscirebbe a sopportare il travaglio e il parto”.
C’è un modo per alleviare questo dolore?
“Gli oppiacei sono farmaci analgesici che agiscono a livello del sistema nervoso centrale, l’utilizzo di questi farmaci è in realtà molto diffuso. Sono spesso prescritti per i dolori post parto o dopo un intervento chirurgico, senza per questo rendere dipendenti i pazienti o costringerli ad un uso prolungato nel tempo. È quindi necessario superare il preconcetto della dipendenza”.
Cosa dice la legge italiana su questo argomento?
“La legge n. 38 del 15 marzo 2010 sulle terapie del dolore e le cure palliative, stabilisce che i pazienti devono essere analizzati e una volta stabilita la malattia del dolore cronico, devono essere indirizzati verso gli ambulatori e le cliniche specifiche. Prendendo per esempio la città di Rimini, il primo ambulatorio è stato costituito già nel 1985”.
Gli anziani i più colpiti. Elisabetta Silingardi, Direttore dell’unità operativa Anziani e Disabili fisici e sensoriali dell’Ausl Romagna, pone l’attenzione sulla figura dell’anziano.
“Le cause del dolore cronico dell’anziano sono strettamente collegate alla degenerazione del corpo – sostiene Silingardi – e i più a rischio sono quelli che risiedono in strutture perché non vengono adeguatamente trattati”.
Questi anziani sono spesso affetti da demenza senile ed esprimono il dolore in modi diversi, come espressioni facciali, vocalizzi e pianto.
“Importante è, però, ricordare – conclude – che esiste anche un’alternativa alla terapia farmacologica. Tramite programmi di attività fisica, massaggi e terapie comportamentali per esempio, è possibile affrontare e sconfiggere il dolore inutile”.
Dolore, esperienza globale. Anche Maria Cristina Monterubbianesi, dottoressa dell’Hospice di Rimini, sostiene l’importanza del riconoscimento di questa malattia.
“Il dolore è un’esperienza globale che porta a cambiamenti di stati d’animo, ansia e depressione – afferma – ed è riscontrabile nel 45-80% dei pazienti che risiedono in strutture sanitarie e nel 25-50% dei pazienti non istituzionalizzati. Per l’identificazione del dolore è indispensabile utilizzare la scala di valori del questionario McGill. È costituito da una serie domande dove il paziente indica l’intensità del dolore su una scala da 0 a 5. Le conseguenze del dolore cronico non curato e non riconosciuto nei casi minori porta a depressione e nel peggiore dei casi al suicidio”.
Nel mondo, ogni anno, il 16% dei cittadini decide di porre fine alla propria vita perché non riesce più a convivere con il dolore. La situazione si riflette anche sul piano economico. Nel caso dell’Italia, il dolore costa all’economia nazionale 3 milioni di ore lavorative e oltre 3 milioni di euro in farmaci e prestazioni.
Sara Ceccarelli