C’è un rischio di paradosso. Ci troviamo nel variegato mondo dell’energia, delle sue fonti, consumi e rapporto con l’ambiente. Il tema ambientale è, nell’epoca che stiamo vivendo, uno dei più caldi e sensibili, e il discorso delle fonti energetiche e dell’impatto ambientale del loro utilizzo non può che esserlo ugualmente. Per questo motivo da diversi anni si è cominciato a parlare dei cosiddetti biocarburanti: combustibili che, invece di essere ricavati dalla lavorazione del petrolio, si ottengono da fonti rinnovabili come rifiuti e residui organici vegetali e animali, attraverso specifici processi chimici. Prodotti (di vario tipo, come ad esempio il biodiesel, liquido, o il biometano, gassoso) considerati dall’impatto ambientale ridotto, che vanno così a rappresentare una valida alternativa ai combustibili fossili e quindi una possibile soluzione ai problemi legati alle emissioni e all’inquinamento.
Dove sta, dunque, il rischio di paradosso citato in apertura? Come detto questi biocarburanti, per essere realizzati, necessitano di specifiche modalità di produzione, e quindi di strutture e impianti, oltre che di infrastrutture di trasporto e distribuzione: qual è l’impatto ambientale di tutto questo? Parliamo di prodotti che dovrebbero rappresentare una soluzione più “green”, ma quanto è “green” la loro produzione? E non solo. Derivando da residui organici anche vegetali, occorrono spazi specificamente destinati alle coltivazioni per uso energetico, portando al rischio, su larga scala, di due ulteriori problemi: deforestazione e riduzione degli spazi disponibili per le coltivazioni ad uso alimentare. Infine, ultimo ma non meno importante, c’è la questione dei consumi: quanto sono impattanti i biocarburanti a livello di emissioni nell’aria? Cerchiamo di rispondere a tutte queste domande, guardando alla situazione presente nel nostro territorio.
Rimini e i biocarburanti: una produzione “green”?
Nel riminese non c’è una ricchissima produzione di biocarburanti, ma da diversi anni qualcosa si muove. Attuali e importanti anche per noi, dunque, le questioni presentate. “Nel nostro territorio abbiamo due aziende che producono biocarburanti. – risponde Roberto Bacchini, segretario della circoscrizione di Rimini di Confagricoltura – Biogas, nello specifico, ottenuto da residui vegetali (come il mais) e da biomasse, attraverso il lavoro di un impianto dedicato: il biodigestore”. Che impatto sull’ambiente hanno questi impianti? “La produzione in sé, e quindi la specifica attività dei biodigestori, non ha impatto ambientale. Un possibile impatto, ed è uno degli argomenti trattati da tempo, può esserci però a livello strutturale. Mi spiego: per produrre occorrono molti ettari di terreno, necessari per le coltivazioni e quindi per avere materiale organico utile al biodigestore; ma, allo stesso tempo, bisogna occupare poco spazio, perché se già si superano i 30 km di distanza dagli impianti si può avere un paradosso: i continui trasporti renderebbero poco sostenibile, a livello economico e soprattutto ambientale, la produzione. Muovere continuamente i mezzi sui tanti ettari di terreno necessari, e quindi inquinare per produrre energia pulita, può rivelarsi un controsenso. Nello specifico, nel nostro territorio sono indicativamente 1.500 gli ettari utilizzati per la produzione di biocarburante”.
La questione alimentare
E qui si arriva a un altro problema: quanto spazio e quante risorse possono essere sottratte alla coltivazione di materie prime per l’industria alimentare? “Le coltivazioni sono appositamente pensate per avere un’alternanza tra ‘food’ e ‘no food’. – continua Bacchini – C’è una rotazione: sullo stesso campo, in una stagione si produce per finalità energetiche e in quella dopo per finalità alimentari, così da mantenere un equilibrio. E non solo. Quando si è in periodo ‘no food’, non tutte le colture finiscono necessariamente nel biodigestore: parte di queste, infatti, possono essere destinate agli allevamenti come foraggio, contribuendo quindi alla produzione di latte, formaggi o carne. Rimangono ufficialmente coltivazioni ‘no food’, ma alla fine rientrano comunque nella filiera della produzione alimentare. In sostanza, dunque, un equilibrio nel nostro territorio c’è. È giusto avere un occhio critico sul mondo della produzione di energia pulita, l’importante è evitare qualsiasi demonizzazione. E, al di là del food o no food, forse la vera questione è un’altra. Molta terra è stata portata via nel nostro territorio, principalmente per la necessità di infrastrutture: si pensi alla Piana di San Giovanni, che era il granaio Malatesta ed è stata divisa in due, spezzando una delle piane più produttive della provincia, oppure alla Statale 16 o all’allargamento dell’autostrada. Comunque la si guardi, quelli sono terreni sottratti che non torneranno più”.
E a livello di emissioni?
Affrontato il tema della produzione di biocarburanti, occorre passare ai consumi. È davvero più “green” l’utilizzo di carburanti bio per quanto riguarda le emissioni nell’aria? “Per avere una valutazione completa ed esaustiva del tema – spiega Vanes Poluzzi, responsabile del Centro Tematico Regionale Aria di Arpae Emilia-Romagna – occorre considerare il cosiddetto Life Cycle Assessment, e cioè l’intero ciclo di vita del biocarburante, e va fatto in modo specifico per ogni singolo tipo di prodotto. In generale, però, è possibile dire che questi biocarburanti possono avere un impatto ambientale certamente molto diverso da quelli derivati dal petrolio. Nello specifico, ad esempio, non ci sono emissioni di biossido di zolfo, proprio perché lo zolfo non è presente nei composti originari. C’è dunque una miglioria in questo senso, come ci può essere un aspetto positivo anche dal punto di vista dell’aerosol, e cioè delle particelle sospese nell’atmosfera. Non possiamo dire la stessa cosa, con la medesima sicurezza, per quanto riguarda gli ossidi di azoto, che sappiamo essere ancora oggi inquinanti critici per le nostre zone e sui quali qualche indagine in più andrebbe fatta. Insomma, la tematica è in divenire, si sta sviluppando. Occorre però sottolineare una cosa: non si può stabilire a priori che un prodotto vada bene purché sia di origine naturale”. In che senso? “Si pensi ad esempio alla combustione della legna (o derivati come pellet) per il riscaldamento: è di origine naturale ma negli ultimi anni il Pm 2,5 che registriamo in atmosfera è composto per il 25% da materiali riconducibili alla combustione della legna. Questo non significa che ci sia un’allarme per la salute, ma occorre prendere nota di un segnale molto preciso: un prodotto naturale non è esente, a priori, da problemi di impatto ambientale”. Fondamentali, dunque, i controlli. “Certamente. – conclude Poluzzi – Assodato che un prodotto bio non può essere esente da rischi a priori, con i giusti controlli e con produzioni ben regimentate si possono avere prodotti utili dal punto di vista dell’energia pulita. E questa è proprio la filosofia della legge attuale: esistono sia limiti autorizzativi, sia impianti di abbattimento dell’impatto ambientale che devono essere rigidamente controllati e sottoposti a manutenzione nel tempo. Se tutto questo è verificato allora c’è sostenibilità. Occorre un equilibrio generale, ed è quello che c’è nel nostro territorio: per il Piano Area della nostra Regione la situazione è tenuta sotto controllo”.