Prima di interrogarci su cos’è la Bibbia, dovremmo chiederci cos’è un libro. Abbiamo infatti un’idea molto ingenua dell’oggetto «libro», come se coincidesse con il supporto cartaceo che abbiamo in mano. Invece non è così e oggi lo dimostra il fatto che ci sono anche libri pubblicati solo in formato digitale. Un libro quindi non è un insieme di fogli di carta, ma un evento di comunicazione attraverso la parola scritta, che coinvolge un autore e uno o più lettori. Si tratta di conoscenze, emozioni, esperienze trasmesse al lettore per trasformarlo. Ogni libro quindi non aumenta solo la conoscenza, ma punta a cambiare il proprio lettore, arricchendolo di nuove esperienze.
Chiarito cos’è un libro, possiamo allora chiederci cos’è la Bibbia. Essa è anzitutto un insieme di libri (tà biblia), in greco è al plurale), scritti da tanti autori diversi e in tempi diversi. Tra i primi scritti dell’Antico Testamento e gli ultimi in termini di tempo intercorrono circa mille anni. Nel Nuovo Testamento invece al massimo settant’anni. Inoltre anche gli autori di questi libri, in particolare nell’AT, hanno caratteristiche e provenienze diversissime. Ci sono profeti, scribi, sacerdoti del tempio, sapienti ed educatori della corte davidica, salmisti, ma anche allevatori di pecore, come Amos, che divengono profeti senza alcun appoggio delle classi dominanti. Essi scrivono in ebraico, ma anche in aramaico, come lo scriba Esdra o il profeta Daniele, o in greco come gli autori del libro della Sapienza, di Giuditta, dei Maccabei o il traduttore del libro di Ben Sira. Anche all’interno del Nuovo Testamento c’è molta diversità. Ci sono libri scritti per comunità in cui una parte importante ancora era giudeo-cristiana (ossia cristiani provenienti dal giudaismo che osservavano la Legge di Mosè) come il Vangelo di Matteo, o libri scritti per comunità ormai interamente pagano-cristiane (ossia composte di cristiani provenienti dal paganesimo), come il Vangelo di Luca. Ci sono lettere scritte a comunità precise con intenzioni particolari e contingenti, come quelle di Paolo, oppure trattati omiletici sul sacrificio di Cristo, rivolti a tutti i cristiani, come la lettera agli Ebrei.
Nonostante tanta diversità di provenienza storica, culturale, linguistica e di generi letterari, la Bibbia è un unico libro. Se tale affermazione può suonare un po’ paradossale, per capirla dobbiamo richiamare la definizione di libro che abbiamo fornito sopra. Un libro è un evento di comunicazione che attraverso la parola scritta punta a comunicare esperienze e a trasformare il suo lettore. L’unità della Bibbia non si ritrova allora partendo dagli autori, dalla storia o dai generi letterari, ma dall’esperienza che essa comunica al suo lettore e da come intende trasformarlo. La Bibbia è globalmente orientata a trasmettere l’esperienza di fede del popolo di Israele in JHWH suo Dio, che lo sceglie tra tanti popoli e lo libera dai propri nemici e dalla schiavitù del peccato, donandogli la Legge e promettendogli un cuore nuovo. Tale esperienza di fede si concentra e si compie in Gesù che, come unto dello Spirito Santo, libera, guarisce e consola gli afflitti di Sion e i poveri e come Servo di JHWH, con la sua morte e resurrezione, porta a compimento la salvezza per Israele e per tutti i popoli. In sintesi possiamo affermare che la Bibbia, attraverso una molteplicità di autori e parole umane, comunica l’esperienza del Dio di Israele che si compie in Gesù, messia di Israele e nel suo mistero pasquale di morte e di resurrezione.
Volendo ulteriormente riassumere e semplificare quanto affermato sinora, si può dire che la Bibbia è un libro molto particolare, perché ha la pretesa di trasmettere la rivelazione del Dio di Israele e accendere la fede nel suo lettore, attraverso delle parole umane. Essa si può definire come Parola di Dio in parole umane: proprio dentro alle parole umane, con tutta la loro ricchezza e varietà, ma anche i loro limiti di composizione e trasmissione, passa la Parola di Dio. Nella Bibbia non si può troppo distinguere quel che appartiene a Dio e quel che appartiene all’uomo: tutta l’umanità delle parole del testo sacro è assunta, con la sua imperfezione e il suo limite, per comunicare la Parola di Dio e per portare l’uomo alla verità della sua salvezza.
Possiamo quindi dire che la Bibbia non sbaglia mai? Se con ciò intendiamo che la parola umana non abbia errori, siamo noi ad ingannarci. Infatti nella Bibbia ci sono tante imperfezioni, ad esempio di trasmissione testuale, di grammatica o di composizione dei testi. Ma se intendiamo che la Bibbia non sbaglia perché ci trasmette senza errori la via per giungere alla salvezza, allora non ci inganniamo, perché dentro alla parola umana, con i suoi limiti e le sue imperfezioni, viene comunicata la Parola di Dio per la nostra salvezza.
Per capire meglio questo aspetto può essere utile rifarsi ad un grande teologo della Chiesa, vissuto nel II-III secolo d. C, Origene, il quale affermava l’esistenza di una profonda analogia tra le Scritture e il Verbo incarnato. Così come Gesù nella sua umanità è il Verbo di Dio, e non può essere separato dalla sua natura umana, così la Parola di Dio è dentro alle parole umane della Scritture e non può essere separata da esse.
Così se si vuole approfondire la Scrittura, bisogna adeguare il proprio metodo a questo oggetto così particolare, tenendo conto dell’umanità di queste parole, attraverso ad esempio lo studio della trasmissione dei testi, la conoscenza delle lingue, dei generi letterari e dei montaggi narrativi. Se non tutti siamo chiamati ad essere «biblisti» attraverso lo studio delle lingue antiche, però possiamo informarci adeguatamente quando leggiamo la Bibbia, consultando accuratamente le note della nostra Bibbia di Gerusalemme o della nostra Bibbia TOB o magari anche leggendo con attenzione le introduzioni ai libri biblici, importanti per non fraintendere la parola umana, che è sempre storicamente contestualizzata. In ogni caso questo è solo il primo passo per comprendere la Bibbia. Infatti proprio attraverso il rispetto rigoroso delle condizioni umane della comunicazione, l’interprete dovrà poi accedere con apertura di cuore alla Parola di Dio nelle parole umane della Scrittura. Ecco allora un richiamo rivolto anche agli esegeti e agli studiosi: i metodi scientifici sono sì necessari, ma non sufficienti per comprendere la Scrittura! Essa infatti, poiché è Parola di Dio in parole umane richiede che l’interprete, proprio studiando le parole umane, si lasci trasformare da una Parola che mira ad accendere in Lui l’esperienza della fede.
Allora solo i credenti avrebbero la possibilità di leggere in modo autentico la Bibbia? Non si intende affermare questo e fare della fede confessante uno spartiacque invalicabile. Ciò sarebbe tra l’altro in contraddizione con l’importanza straordinaria della Bibbia per la cultura occidentale e mondiale e con le tante e feconde letture laiche di essa. La fede, più che una precondizione di partenza per leggere la Bibbia, è un punto di arrivo a cui la lettura autentica è orientata dal testo. Con l’aggettivo «autentica» non si intende una qualche appartenenza ecclesiale, ma quell’apertura al dialogo interiore di cui parlava il card. Martini nella «Cattedra dei non credenti», in cui il non credente possa aprirsi alle domande del credente che è in lui, domande a cui il confronto serio e approfondito con il testo non permette di sottrarsi. Ma vale anche il viceversa: lettura autentica non è quella di un credente che pensa di avere già la verità in tasca, ma quella dell’uomo di fede che si mette a confronto con le domande e i dubbi del non credente che è in lui, per purificare e accrescere la propria fede alla luce della Parola di Dio.
Davide Arcangeli