Nella mentalità comune dei cristiani l’Antico Testamento è costituito da una serie di racconti, leggi e preghiere che contengono qualcosa di vero, ma che sono di difficile comprensione e appartenenti ad un mondo molto lontano dal nostro. Esso sarebbe pertanto “sostituito” dal Nuovo Testamento, che invece ci offre con chiarezza tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Questo pregiudizio non è nuovo: già l’eretico Marcione (II sec. d.C.) aveva escluso tutti i libri dell’Antico Testamento (e non solo!) dal canone dei libri sacri. Se tale sostituzione fosse vera, allora anche oggi l’Antico Testamento non avrebbe più valore e perderebbe lo statuto di Parola ispirata da Dio.
Come comprendere allora in modo più vero e corretto il rapporto tra Antico e Nuovo Testamento?
Nella storia dell’interpretazione cristiana, si possono ravvisare almeno quattro diversi modelli per comprendere il rapporto tra Antico e Nuovo Testamento. Seguendo la proposta dell’esegeta italiano Massimo Grilli, possiamo schematizzarli come segue: 1. Modello di sostituzione; 2. Modello di preparazione; 3. Modello di promessa-compimento; 4. Modello dialogico.
Il modello di sostituzione è quello che abbiamo appena accennato e che è radicalmente errato, perché porta ad una sostanziale irrilevanza dell’Antico Testamento per la fede. Esso infatti conterrebbe un’immagine violenta e primitiva di Dio, insieme a tanti errori di tipo morale e sarebbe dunque sufficiente per il cristiano leggere il Nuovo Testamento. Si deve purtroppo constatare che questa concezione, malgrado sia stata ufficialmente dichiarata falsa dal magistero, ha tuttavia avuto un ruolo non indifferente nell’allontanare i fedeli dalla lettura dell’Antico Testamento e ancora oggi è dominante nella mentalità generale. Gli altri tre modelli elencati sopra sono invece corretti, ma non tutti sono esenti da rischi.
Possiamo approfondire questi modelli nel dettaglio, per capirne opportunità e rischi?
Il modello di preparazione consiste nel considerare l’Antico Testamento come una “storia della salvezza” che avviene lungo i secoli attraverso l’elezione dei patriarchi e del popolo ebraico e che prepara l’avvento del messia Gesù. L’ultimo dei profeti, che ricapitola tutta questa preparazione è Giovanni il Battista, l’amico dello sposo che prepara la sposa, l’umanità, ad incontrare il Cristo sposo, Parola fatta carne. In questa storia lentamente viene preparato un popolo, purificato nelle sue attese e nella sua fede dalle prove e umiliazioni subite, “figura” del messia chiamato a portare a compimento tale storia. Inoltre anche alcuni aspetti inaccettabili di carattere morale, che si trovano nei racconti dell’Antico Testamento (si pensi ad esempio allo herem o legge di sterminio in Gs 7 ed altri testi), trovano un’adeguata interpretazione se li si colloca nel loro contesto storico-culturale, tenendo conto delle motivazioni teologiche dell’autore e di tutto il progresso morale, che si trova all’interno della rivelazione biblica. L’Antico Testamento viene in tal modo compreso come un grande repertorio di racconti e figure, il cui profondo significato si svela pienamente nel Nuovo Testamento, come recita il famoso adagio di Sant’Agostino: “il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico e l’Antico si manifesta nel Nuovo”.
Questo modello è dunque corretto ma corre un rischio fondamentale: se l’Antico Testamento è in fondo solo una “preparazione”, non è forse allora sufficiente tenere il Nuovo per comprendere la rivelazione nella sua pienezza? Così si finisce per ricadere nella sostituzione.
Invece il modello promessa-compimento sarebbe esente da questo rischio?
In realtà nemmeno questo modello è del tutto esente da incomprensioni che possono far perdere all’Antico Testamento il suo ruolo di parola ispirata da Dio. Esso però ha il grande vantaggio di essere un modello tratto direttamente dalla Bibbia, dalla classe di scritti denominati “profetici”. Questi scritti contengono in modo particolare una serie di promesse, che si devono compiere nella storia del popolo di Israele, e che prevedono una restaurazione delle sorti di Israele dopo la catastrofe dei due esili e una piena manifestazione della regalità di JHWH su Gerusalemme, con caratteristiche universali. Il ritorno dei dispersi di Israele in Sion (cf. Is 51), il tempio come luogo in cui affluiscono tutti i popoli alla fine dei tempi (cf. Is 55; Ez 40), la misteriosa sofferenza del servo a cui seguirà il perdono del popolo e la glorificazione (cf. Is 53) e il dono della Legge scritta nel cuore come Nuova Alleanza (cf. Ger 31,31-34) sono alcune di queste promesse profetiche. Esse trovano compimento nell’ingresso regale di Gesù a Gerusalemme, nel mistero pasquale di morte e resurrezione e nel dono dello Spirito Santo che avviene secondo gli Atti degli Apostoli nel giorno di Pentecoste. Sarà lo stesso Pietro a dichiarare che il dono dello Spirito a Pentecoste costituisce il compimento della parola profetica di Gioele (cf. At 2,14-21). Il carattere profondamente biblico di questo modello sembrerebbe evitare qualsiasi rischio. Tuttavia anche in questo caso è ancora possibile leggere il compimento neotestamentario, ossia la Legge scritta nel cuore dell’uomo, come una sostanziale abolizione della Legge mosaica, rivelata sul monte Sinai, senza tener conto che si tratta della medesima Legge e che ciò che cambia è la modalità di trasmissione e la risposta dell’uomo. Ancora una volta l’Antico Testamento sarebbe di fatto “sostituito” dalla Nuova Alleanza.
Qual è dunque il modello esente da rischi? L’ultimo?
Nessun modello è perfetto ed esente da qualsiasi rischio. Tuttavia si può affermare che il quarto modello, quello dialogico, ha in sé gli anticorpi per vaccinare la nostra comprensione della Bibbia da orientamenti sostituzionisti. Esso ci viene consegnato in particolare dai cc. 9-11 della Lettera ai Romani, in cui Paolo afferma che la Parola di Dio (ossia i suoi doni e la sua chiamata cf. 11,29) non è venuta meno (cf. 9,6) e Israele non stato rigettato (cf. 11,1-2), ma Dio ne ha suscitato la gelosia, innestando l’olivastro dei popoli pagani nell’olivo del popolo eletto, in vista della salvezza di Israele con tutti i popoli, alla fine dei tempi. L’Antico e il Nuovo Testamento sono così in una relazione dialettica, per la quale entrambi si compiono con il dono della salvezza. Entrambi infatti si affacciano sul mistero del Figlio, morto e risorto, in attesa del suo definitivo ritorno. Il rapporto tra Antico e Nuovo non esclude quindi una preparazione o un compimento delle promesse, ma li inquadra in un dialogo in corso, dentro ad una realizzazione piena che l’umanità ancora attende alla fine della storia.
Davide Arcangeli