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Beni confiscati, il cortocircuito di un sistema

Cosa accade se su un bene sottratto alla mafia, su cui è realizzato un progetto sociale con tanto di investimenti pubblici, interviene la revoca della confisca?

L’insidioso precedente di Bellaria Igea Marina

È sempre importante ribadirlo, nonostante sia cosa nota: i progetti sociali realizzati su beni confiscati alle mafie hanno un valore profondo per l’intera comunità. Non solo perché la confisca consente di colpire la criminalità organizzata nei suoi beni e nel suo patrimonio, quindi negli strumenti con cui esercita il potere sui territori, ma soprattutto perché con i progetti sociali si restituiscono alla comunità luoghi che le erano stati illecitamente strappati. Se tutto questo è vero, però, occorre chiedersi: se tale confisca viene revocata, eventualità che è prevista dalla legge, cosa accade a questo tipo di progetti (e agli investimenti fatti per realizzarli)?

È lo scenario che si sta verificando proprio in questi mesi a Bellaria Igea Marina, dove all’inizio dell’anno è stato inaugurato Reabita, un importante progetto di reinserimento e inclusione sociale per persone con fragilità nei locali di un immobile confiscato alla mafia. Iniziativa importante, sia per l’utilità sociale sia per l’impegno economico sostenuto, che complessivamente arriva a circa 440mila euro e che ha visto scendere in campo la Regione Emilia-Romagna (300mila euro), il Comune (60mila euro) e anche il PNRR con 80mila euro. Ma che, poche settimane dopo l’inaugurazione pubblica, ha dovuto subìre un’improvvisa doccia fredda: revoca della confisca, da provvedimento della Corte d’Appello di Catanzaro e, di conseguenza, necessità di restituire l’immobile al proprietario. Si ripropone, dunque, la domanda, come segnalatoci anche da numerosi lettori: cosa accadrà ora a Reabita e agli ingenti investimenti (pubblici) sostenuti? C’è qualche forma di tutela o ci troviamo di fronte a un’insidiosa lacuna del sistema? Ricostruiamo la vicenda, anche grazie alla collaborazione di Ivan Cecchini, dirigente del Comune di Bellaria Igea Marina e referente dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata della provincia di Rimini.

La vicenda

Come detto, nel gennaio 2024 è stato inaugurato il progetto sociale Reabita (nelle foto), realizzato su un immobile situato a Bellaria Igea Marina che era stato confiscato alla ’ndrangheta nel 2012 e regolarmente destinato, dopo apposito iter, dall’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alla mafia

(Anbsc) al patrimonio del Comune bellariese nel 2022. Bene sul quale, però, a febbraio 2024 è sopraggiunta la revoca della confisca da parte della Corte d’Appello calabrese, a progetto realizzato e a investimenti già attuati per la sua riqualificazione. Com’è possibile questo cortocircuito? “ Ci troviamo di fronte a un errore di cui il Comune non è responsabile. – spiega Cecchini – L’ente, infatti, ha agito fin dall’inizio con tutta la dovuta scrupolosità, chiedendo più volte all’Agenzia nazionale conferma della definitività di tale confisca, che da sempre ha rappresentato una prerogativa inderogabile per il Comune per interessarsi al bene. Conferma che in tutte le occasioni (nel 2018, nel 2020 e nel 2021 in un’apposita conferenza di servizi) è arrivata. Solo con tale certezza il Comune ha cominciato la realizzazione del progetto, sollecitato dalla stessa Agenzia e procedendo a una importante riqualificazione del bene con contributi, oltre che comunali, della Regione e successivamente di fondi PNRR”.

Una confisca definitiva che, di fatto, definitiva non è stata. Non si rischia di creare un pericoloso precedente che espone a rischi notevoli gli enti locali disincentivandoli fortemente alla realizzazione di progetti sociali su beni confiscati? “ Trattandosi, la confisca, di un provvedimento di prevenzione, che ha quindi finalità diverse rispetto a quelle penali, può essere soggetta a questa eventualità in qualsiasi momento. – prosegue il dirigente – Si tratta di un vizio normativo del sistema, che purtroppo non conoscevamo finché non ne abbiamo vissuto gli effetti. E che deve necessariamente essere risolto a livello legislativo, perché diventa un precedente che crea un impatto importante sulla volontà degli enti locali di impegnarsi in progetti su beni confiscati”. In uno scenario del genere, cosa può fare un ente per tutelarsi? “ Trattandosi di un rapporto tra il tribunale e l’Agenzia dei beni confiscati – sottolinea Cecchini – il Comune non può presentare neanche ricorso, trovandosi nella condizione di poter solo subire la decisione. Nel caso specifico, infatti, non solo l’ente bellariese aveva molteplici conferme sulla natura definitiva della confisca, ma ignorava completamente, perché non informato in alcun modo, che era stata fatta istanza di revoca e che c’era un procedimento in corso”.

Cosa accadrà?

Spontaneo chiedersi, dunque, quale sarà il destino del progetto Reabita. Per completezza, occorre sottolineare che una forma di tutela è prevista dalla legge: il Codice Antimafia, infatti, prevede (all’articolo 46) la possibilità di restituire un bene al legittimo proprietario anche “per equivalente”, ossia attraverso un’erogazione in denaro del valore del bene stesso, proprio nei casi in cui su tale bene sia stato realizzato un progetto di utilità sociale, in modo che tali iniziative non vadano perdute. Anche in questo caso, però, essendo il pagamento a carico dell’amministrazione assegnataria del bene, l’esposizione degli enti rimane notevole, almeno da un punto di vista economico. “ L’intenzione del Comune di Bellaria Igea Marina – conclude Ivan Cecchini – è quella di non restituire il bene, ormai irreversibile e infungibile come comunicato alla stessa Agenzia. Una posizione, questa, condivisa anche da tutti i Comuni che fanno parte dell’Osservatorio provinciale sulla criminalità organizzata.

Allo stesso tempo il Comune non è disponibile nemmeno a farsi carico dell’indennizzo economico, proprio perché non responsabile della situazione che si è creata. Su questo, dunque, daremo battaglia, anche assieme alla Regione che sta seguendo da vicino la vicenda”.