Il prossimo 3 dicembre si riunirà la Corte di Giustizia europea per decidere sul caso delle concessioni demaniali marittime. Lo Stato italiano ha da sempre consegnato le chiavi delle spiagge ai bagnini dicendo loro di non volerle mai più indietro. Nel 2006 è però arrivata l’Europa attraverso il commissario Frits Bolkestein dicendo che così non si poteva più andare avanti: non c’è libero mercato. Per l’Italia l’ennesima infrazione. Ma a colpi di proroghe abbiamo rimandato la liberalizzazione del settore, l’ultima delle quali ha allungato la scadenza delle concessioni al 2020. Cosa comporterebbe una sentenza di illegittimità da parte della Corte del Lussemburgo? L’azzeramento di tutte le concessioni dal primo gennaio 2016.
“La regolamentazione delle spiagge deve svecchiarsi, altrimenti è il feudalesimo”, sostiene l’avvocato civilista di Rimini, Enrico Gorini esperto di diritto d’impresa. “Basta concessioni balneari eterne, come basta condoni e amnistie. Lo Stato deve funzionare appoggiandosi su principi di trasparenza e di certezza giuridica. Quando si cerca di trasformare in modo strisciante delle concessioni in proprietà qualcosa non funziona, si creano conflitti sociali e generazionali”.
Avvocato, cosa non le piace dello stato di fatto?
“Abbiamo cristallizzato la situazione. Non sono più state fatte gare pubbliche. Col regime di proroghe è stata annullato il diritto di iniziativa economica. Un bagnino che eredita la spiaggia dal padre offende persino la nostra Costituzione che difende la parità di diritto di accesso all’impresa”.
Qualora prevalessero questi principi, però, degli imprenditori che hanno investito capitali personali in un’attività balneare si ritroverebbero dall’oggi al domani con un pugno di mosche in mano.
“È giusto che venga indennizzato chi non è ancora riuscito a ripagare gli investimenti fatti. Ma chi ha acquistato la concessione dopo la direttiva Bolkestein del 2006 non sapeva che prima o poi sarebbe scaduta? Hanno firmato un atto di cessione, non di proprietà. Ad ogni modo preferisco utilizzare soldi pubblici per garantire loro un indennizzo, un paracadute sociale, piuttosto che offendere la trasparenza e il Diritto pubblico e privato”.
E chi è diventato concessionario prima del 2006?
“Immagino che i più abbiano già ammortizzato. Il loro è stato un investimento più finanziario che in immobili. Per chi si ritrovasse in perdita anche in questo caso si provveda ad un indennizzo proporzionato alla durata di godimento della concessione e al prezzo pagato per essa”.
Il turismo balneare è un pilastro del Paese. Troppo accanimento sui bagnini?
“Non sono solo loro ad avere portato i turisti sulle spiagge, ma il sistema. Hanno lavorato bene ed onestamente, ma hanno anche sfruttato una rendita di posizione: i turisti sarebbero arrivati comunque”.
Il Codice della navigazione dice che i loro manufatti devono essere demoliti al ritiro della concessione.
“È una norma errata e va cambiata. Come vale per altri casi, qualora l’opera sia considerata di interesse pubblico deve essere previsto un indennizzo per chi l’ha realizzata”.
E una volta che la spiaggia è messa all’asta, è giusto assegnare punti in più a chi ha maturato esperienza nel settore?
“No, sarebbe un modo per ridare la spiaggia sempre agli stessi. I bagnini di Rimini hanno paura della concorrenza internazionale e di uno snaturamento delle nostre spiagge, ma è solo retorica. Siamo noi a stabilire le regole del gioco attraverso dei regolamenti che devono risultare compatibili con il paesaggio, la qualità della vita dei residenti e una corretta fruizione della costa, notte e giorno. Non importa chi ci mette i capitali. Se l’asta è vinta da una multinazionale non sarà forse loro premura mettere a gestire personale locale perché quella che vendono col servizio è soprattutto l’accoglienza romagnola? Non c’è da aver paura”.
Mirco Paganelli