DITE la verità, vi sarà capitato di avere qualche amico, qualche compagno di scuola con un cognome un po’ buffo. E magari chissà quante volte lo avrete preso in giro, o vi sarà uscita una battutina. Forse non lo sapevate, e magari non lo sapete neppure adesso, ma un cognome che fa soffrire, perché buffo o perché beffeggiato può ostacolare le proprie ambizioni e nei casi più gravi può anche far cadere in depressione. Tanto che molti decidono di cambiarlo: ogni anno più di 1.400 persone chiedono al ministero dell’Interno di sostituirlo, magari anche solo una lettera, cambiandone però così il suono o sollevandoli dall’imbarazzo. Anche in provincia non mancano casi di questo genere. Solo nel Comune di Rimini, per esempio, sono state dieci le persone che hanno chiesto una modifica.
“Ma a ogni persona che arriva a prendere provvedimenti concreti per placare il malessere, ne corrispondono tre che al contrario si chiudono in depressione. Una vera e propria depressione da cognome - sottolinea lo psichiatra Massimo Di Giannantonio – il fenomeno è riconducibile a una grave lesione narcisistica del nostro ideale dell’io: noi tutti abbiamo vissuto un processo psicologico che ci ha portato a formare la nostra identità, ma se tale meccanismo è stato accostato per anni a un cognome che mette in ridicolo, che falsifica in apparenza il modo in cui noi pensiamo di essere, il nostro valore, si possono creare due tipi di problemi: uno intrapsichico, cioè quello che consiste nella critica che noi stessi ci facciamo, spesso considerandoci colpevoli di portare un cognome che frustra le nostre ambizioni; l’altro interpersonale, l’idea cioè di essere presi in giro, svalutati dall’ambiente sociale sia stretto che allargato, e la sofferenza che ne consegue”.
Ma se c’è chi reagisce a tutto questo e non appena possibile rimedia al proprio cruccio modificando il cognome come previsto dalla legge (vedi articolo a fianco) “perché ridicolo o vergognoso o perché rivela origine naturale”, c’è anche chi non ha questa forza e si chiude in una sofferenza che spesso richiede l’intervento dello psicologo.
“Esistono due strade che possono essere percorse da chi ha questo problema. La prima è quella del principio di realtà: si prende coscienza del malessere, delle soluzioni disponibili per risolverlo e si agisce per eliminare questo insulto alla nostra personalità. La seconda è quella che va in direzione opposta rispetto al principio di realtà: con il tempo si procede verso un conflitto nevrotico, un’interiorizzazione e un’elaborazione depressiva del problema, che ci porta a vivere con il malessere in maniera silente e non cosciente”.
Francesco Barone