Ha suscitato particolare ilarità nei giorni scorsi la notizia dello studente coreano che si è mangiato la banana dell’installazione dell’artista Maurizio Cattelan al Leeum Museum of Art di Seul. Lo studente ha invero colto l’intento provocatorio del frutto appeso al muro: banana, tu m’hai provocato e io me te magno.
Ma i commenti all’episodio hanno richiamato il dibattito che scoppiò a Rimini nell’estate 2015 allorquando le cartoline di Cattelan riversarono la loro provocanza lungo tutta la città: un rimpallo senza fine di “L’arte è provocazione, voi non capite l’arte”, “Questa non è provocazione”, “L’arte deve essere libera” etc etc . Poi come spesso succede dopo il clamore iniziale quei “saluti da Rimini” finirono nel dimenticatoio diventando oggetto da collezionisti: c’è chi vende online il set completo di otto cartoline a 60 euro, se per caso le avete ancora da qualche parte. Ma non mi preoccuperei se non si riesce a mettere d’accordo tutti su cose che per loro natura non possono farlo, e poi comunque a tutto ci si fa l’abitudine.
A confronto della recente provocazione del murales con l’uomo che allatta, scatenatrice di uno scontro dai medesimi meccanismi (“ L’arte è provocazione, voi non capite l’arte”, “Questa non è provocazione” etc etc.) le cartoline di Cattelan oggi provocano al massimo uno sbadiglio.