L’attore Roberto Herlitzka ha letto i versi di Lucrezio accompagnato dalle musiche composte da Vandor, Macchi, D’Amico e Marocchini
ROMA, 17 novembre 2017 – Una sfida affascinante e non priva di rischi, tanto più ammirevole perché il demiurgo è un attore non più giovane, ma ancora disposto a mettersi in gioco. Roberto Herlitzka – ottanta anni già compiuti e quasi sessanta trascorsi in palcoscenico – ha letto, davanti a un pubblico numeroso e attentissimo, alcuni passi tratti dal primo libro del De rerum natura, in una sorta di melologo (anche se sarebbe più esatto chiamarlo “concerto scenico”) dove la parte musicale era affidata a brani ispirati al poema di Lucrezio, appositamente scritti da quattro compositori dei nostri giorni. È stato lo stesso Herlitzka (un cognome che denuncia ascendenze ceche), figura anomala nel panorama italiano, a curare la versificazione italiana del poema che Tito Lucrezio Caro scrisse nel I secolo a.C., trasformando gli esametri della lingua latina in terzine rimate in stile dantesco. Un ascolto non facile, certo, eppure avvincente: superati i primi minuti per abituare l’orecchio alla scansione dei versi, si viene travolti e quasi ipnotizzati dal flusso delle parole. La voce di Herlitzka, infatti, non si limita a cesellare suoni: l’attore è sempre attento a rispettare l’andamento della frase e i concetti sottesi alle parole, guidando così chi ascolta nella comprensione di significati spesso complessi e tutt’altro che immediati da cogliere. I versi di Lucrezio sono densi d’implicazioni filosofiche: nella sua descrizione del cosmo, il poeta prende le mosse da Epicuro per riflettere sui fenomeni naturali e fisici, senza tirarsi indietro nemmeno di fronte a concetti complicati come la teoria atomica e la definizione di “vuoto”. E per dare forma a queste speculazioni si avvale di una lingua poetica di straordinaria bellezza, che la lettura di Herlitzka riesce a valorizzare anche in traduzione. È davvero impressionante come, da parte dell’attore, non ci siano mai cadute d’intensità, attimi d’incertezza, parole men che nitide o non perfettamente intellegibili.
Nella serata al Teatro Vittoria, frutto di una collaborazione fra il cinquantaquattresimo Festival Nuova Consonanza e RomaEuropa Festival, il versante musicale era affidato all’Orchestra Sinfonica Abruzzese che ha eseguito i quattro brani realizzati per l’occasione da altrettanti compositori. Ha iniziato Ivan Vandor con Nouvelles errances, poi Lamberto Macchi e il suo Prima quell’ira, a seguire Matteo D’Amico con L’umano senso e, infine, Enrico Marocchini (Le cose illuminan le cose), che aveva anche il compito di dirigere gli strumentisti. Seppure per motivi diversi, si tratta di musiche interessanti, ma destinate – dopo un po’ – a diventare un sottofondo, un tappeto sonoro rispetto a una voce e a una presenza carismatiche, capaci di monopolizzare tutta l’attenzione. Pazienza: ci saranno altre opportunità per riascoltare questi brani, mentre abbandonarsi alla musicalità dei versi di Lucrezio è stata forse un’occasione irripetibile.
Giulia Vannoni