Premetto che quando penso alla nostra Europa, quando penso al nostro continente, sono sempre portato a riconoscere i segni di vita e di speranza, nonostante i molti segni negativi”. Mons. Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza, già vicepresidente della Commissione degli episcopati dell’Unione europea (Comece), è intervenuto venerdì 17 maggio al convegno della Federazione Settimanali Cattolici (FISC) a Faenza con una riflessione sul senso della memoria e sull’attualità della costruzione comunitaria. “L’Europa – aggiunge – non solo è la mia culla, è la mia vita, è me stesso insieme a tanti altri. E se dicessi che l’Europa è finita, è morta, dovrei riconoscere che anch’io sono morto. Ma se l’Europa non è morta, può avere malattie che devono essere individuate e possibilmente curate”.
Ambrosio si è chiesto: “Si può curare il deficit di memoria? È la domanda che ci sfida, sfida la nostra Europa”.
Un deficit di memoria
Il relatore ha sottolineato che tale deficit è stato denunciato dai pontefici, con particolare riguardo a Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco.
Il Vescovo ha indicato alcuni passaggi storici dell’Europa, citando fra l’altro le guerre e l’olocausto. Ha quindi ribadito: “È doveroso per tutti fare memoria. Lo è in particolare per noi europei. Bisogna sempre ricordare ‘l’avventura millenaria e insieme inconclusa’ della nostra Europa, come scrisse lo storico francese Braudel, a proposito del sogno di unità culturale e spirituale, messo a dura prova dalle drammatiche vicende storiche, culturali e politiche del secolo scorso”.
La pluralità delle radici
Atene, Roma, Gerusalemme: rappresentano differenti apporti alla vicenda storica europea, a cui se ne sono aggiunti diversi altri nel corso dei secoli, “fondendosi in una realtà complessa da cui è emersa la nostra comune cultura, quella delle cattedrali e delle università del Medioevo, quella della fiducia umanistica nel genio dell’uomo, della sua ricerca e della sua libertà, fino all’illuminismo”. La pluralità delle radici europee, ricordata anche da Romano Guardini, “ha favorito una unità di base”, “unità nella diversità”, da cui “sono scaturiti inimitabili frutti nelle arti e nel pensiero, nei valori comuni di fratellanza e di solidarietà, nello spazio spirituale e culturale che la storia ci attesta”.
70 anni di pace e sviluppo
“Quando l’unità tensionale è venuta meno, l’Europa è sprofondata in guerre e divisioni”, ha segnalato ancora mons. Ambrosio. Nel secondo dopoguerra, “mossi dall’ideale di pace, di unità e di prosperità, i padri fondatori, insieme a tutti coloro che hanno accolto l’antico sogno, hanno consegnato all’Europa 70 anni di pace, stabilità, sviluppo materiale”.
Un sogno appena iniziato
Oggi “sappiamo che il sogno si è realizzato solo in parte: ma questa parzialità è già un grande, straordinario, risultato se si pensa alle tragedie della storia europea del passato”. La costruzione europea è “sottoposta in questa fase a venti contrari, è precaria”. E, come sempre, si conferma un processo in divenire, “un cammino. La costruzione europea ha oscillato tra volontà di maggiore integrazione e difesa dell’autonomia nazionale. I sovranismi di oggi non sono dunque una novità”.
L’illusione populista
Il relatore ha specificato: “Sembra che la questione dei populismi sia un tratto dell’Europa desiderosa di tornare alle piccole patrie. Ma è una illusione: le spinte populiste sono una minaccia alla democrazia”.
Non è infatti possibile “chiudersi nei propri confini; i singoli Paesi non sono in grado di affrontare da soli le grandi questioni che l’attualità ci presenta. Ogni sfida rilevante – dal rapporto tra popolo ed élite alla crisi economica, dalle migrazioni all’ambiente – necessita di una soluzione comune, trattandosi di problemi che hanno ripercussioni comuni in Europa e nel mondo”.
Gianni Ambrosio ha concluso: “come ci ha ricordato Papa Francesco, noi cristiani che viviamo in questo continente siamo chiamati a recuperare la memoria per aiutare la nostra Europa a diventare una comunità che vince la paura e guarda con speranza al futuro”. (Sir)