È iniziato l’Avvento, cammino che porterà al traguardo del Natale. Come vive il Vescovo di Rimini questo percorso a tappe? Cosa si attende dal compleanno di Gesù? E cosa auspica il Pastore per la sua Chiesa di Rimini? Mons. Francesco Lambiasi dialoga con ilPonte e per i lettori.
Avvento: che significa per il Vescovo di Rimini?
“Lo ammetto: sento in maniera sempre più marcata il richiamo del Natale. Non si tratta di una questione di nostalgia sentimentale, che pure non guasta, perché questo periodo ci richiama il tempo della nascita, il tempo dell’attesa.
Il Natale mi mette nel cuore i due sentimenti forti che l’Avvento ci invita a vivere. Avvento lo pensiamo come tempo di attesa ma di per sé significa ciò che avviene, una Presenza. Da una parte sperimentiamo la presenza del Signore ma Lui non è semplicemente colui che era, che è e che sarà ma colui che era, che è e che viene.
Ecco l’Avvento. Due i verbi fondamentali: vegliare e attendere. Vegliare, ovvero essere pronti perché il Signore passa e noi rischiamo di mancare l’appuntamento.
Una profonda credente diceva che in tante occasioni la Chiesa e il Signore Gesù si comportano come due innamorati che sbagliano luogo e ora dell’appuntamento. Il Signore viene ma lo possiamo incontrare solo se lo attendiamo. Attendere significa tendere a, protendersi, quindi tendere verso, insomma mettersi in cammino perché l’incontro possa avvenire.
Il cammino di due innamorati che vanno l’uno incontro all’altro. Per questo ho pensato anche quest’anno una serie di incontri, di iniziative e di eventi che siano di aiuto a vivere il Natale come fosse la prima volta, l’ultima, l’unica: allora Natale diventa veramente un evento”.
Le luci si accendono sempre prima, i preparativi fervono già da settimane: in realtà il tema dell’attendere, dell’antropologicamente tendere verso si è smarrito. Siamo incapaci di attendere con gioia?
“Il clima che respiriamo purtroppo ci induce a bruciare i tempi, e ci impedisce di leccarci le labbra quando arriva il momento. Tendiamo ad anticipare, a precorrere sempre i tempi quando invece dovremmo imparare di nuovo ad aspettare il ritmo del cammino fatto di passi, uno dopo l’altro.
Dovremmo metterci alla scuola delle donne che attendono. Le mamme gestanti sono le «prof dell’attesa»: per prepararsi all’evento iniziano già a dialogare con il bimbo che scalcia nel grembo, ascoltando quei primi sobbalzi che solo le donne capiscono e comprendono. Per questo la figura che ci prepara al Natale non può che essere Maria, la madre in attesa.
Anche gli innamorati sono maestri dell’attesa, quando si danno appuntamento non vedono l’ora di incontrarsi. E se la preparazione è caratterizzata da un po’ di nervosismo, è il segnale che si attende qualcosa di importante.
Nel Piccolo Principe c’è un dialogo interessante tra il protagonista e la volpe che chiede di essere addomesticata. L’animale stesso chiede di essere atteso ogni sera, così da prepararsi: «io da sola non posso addomesticarmi». Attesa e vigilanza sono temi da recuperare, per il nostro bene”.
La liturgia cattolica ci aiuta proponendoci le domeniche d’Avvento, e segni semplici come la corona d’Avvento o il presepe.
“Natale è la festa di Gesù, ma non può mancare il festeggiato, altrimenti rischia di essere semplicemente un ritorno all’indietro, all’infanzia, che pure è un valore grande.
Gesù dice: se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli. Non dice: se non diventerete, non è una sorta di regressione all’aurora della nostra vita, della nostra storia.
È un mettersi di fronte a questo Dio che si fa bambino perché non vuole incombere su di noi, non è una sorta di Mangiafuoco implacabile, ma un Bambino che entra nella storia come entra qualsiasi figlio di Eva. Ciò lo rende ancora più vicino all’Emmanuele, il Dio con noi”.
Ogni domenica è Pasqua, l’Ottavo Giorno. La Chiesa però parla di tempi forti per Quaresima e Avvento. Cosa significa per le comunità?
“Lo si può paragonare ad un allenamento: la squadra si prepara poi a giocare partita di campionato. Ed è importante lasciarsi quasi immergere nel fiume del tempo
che scorre lentamente senza condotte forzate. Il camminare di tappa in tappa verso il traguardo serve a fare del Natale un giorno speciale perché siano speciali tutti i giorni, per recuperare il quotidiano. Questo è il grande mistero del Natale: un Dio che viene a vivere con noi e a vivere il nostro tempo fatto di giorni, mesi e anni.
Le generazioni della storia attendevano il Salvatore, i profeti lo avevano annunciato: perché non si è presentato già uomo? Perché Gesù voleva imparare a diventare uomo, uomo come noi. Una vicinanza che non solo commuove ma smuove”.
Se non è Natale tutti i giorni non è Natale mai, cantava Carboni.
Tra i tanti appuntamenti in calendario, quello con i malati in ospedale (il 13 dicembre) e il pranzo in Caritas dicono una certa attenzione alle fragilità.
“Misuriamo il Natale con una speciale cartina tornasole: l’incontro con i poveri. A questo Dio a cui non mancava nulla faceva difetto l’esperienza della povertà. Da ricco che era – dice san Paolo – si è fatto povero, nascosto tra i poveri, per stare sempre in mezzo a noi.
Attenzione dunque a non far diventare Natale una festa romantica, dimenticando il povero, colui che trascorre la feste e le giornate sotto i ponti, o avvolto nei cartoni, o nel suo letto di ospedale curato, ma senza un parente o una persona cara che gli faccia visita.
Natale è la festa della solidarietà con Dio: Dio si fa solidale con noi perché anche ci facciamo solidali con i fratelli più poveri”.
Il Natale 2017 si inserisce nel solco di questo anno pastorale caratterizzato dal Sinodo dei Giovani, un’attenzione sposata anche a livello diocesano.
“Occorre fare attenzione a non assumere una visione buonista dei giovani. Aveva ragione don Oreste quando suggeriva: i giovani vanno amati e sfidati. Sfidati ad esprimere il meglio di sé che non merita di restare sottotraccia. Per questo Dio si fa nostro alleato: a noi adulti tocca fare gli adulti, e smetterla di fare i giovanilisti, un atteggiamento che non porta da nessuna parte né adulti né giovani.
Occorre mettersi in ascolto del proprio cuore dove scorre il fiume carsico del desiderio di Dio, dell’assoluto, della bontà vera: questo ci fa bene e fa bene ai giovani.
Lasciamoci sorprendere tutti insieme: Avvento e Natale sia un cammino non per i giovani ma con i giovani. Credenti adulti che vivono veramente l’esperienza del Natale aiutano i giovani a liberare i desideri più profondi, quelli di una vita nuova, di una vita vera, più profonda. Allora potremo dire: va dove ti porta il cuore, perché il cuore diventa la bussola.
Per questo penso che se noi adulti – genitori, insegnanti, catechisti, pastori – viviamo per primi un Natale vero, coerente e bello perciò buono, allora possiamo essere di aiuto ai giovani nel percorrere la strada della verità, della libertà, dell’amore vero”.
Don Oreste parlava di sfidare i giovani, Lei di smettere di accarezzarli con carta vetrata.
“Rilancio: Ai giovani dico: non seppellitevi nei vostri stivali, non state lì a balconare, come ci invita Papa Francesco, ma scendete per strada, valorizzate anche le vacanze di Natale per fare un po’ di bene. Il bene fa sempre bene, aiuta anche a stare bene, e quindi l’augurio rivolto ai giovani – che vorrei condividere con il maggior numero possibile di adulti – è di lasciarsi afferrare da quel brivido di un Dio che non ce la fa a stare solo ma desidera venire con noi a piangere ma anche a ridere e a sorridere, soprattutto con i più poveri”.
Nella società civile è sempre vivo il dibattito sul presepe: farlo oppure no? Impaurisce? Siamo sicuri che un presepio sia segno di mancanza di rispetto in chi crede in qualcosa d’altro o in nulla?
“Facciamolo il Presepe, ci fa bene. Io ne sono un appassionato: in Episcopio nel piccolo ingresso dell’appartamento del Vescovo sono esposti tanti presepi provenienti da ogni parte del mondo.
Il presepe ci fa bene, non fa del male a nessuno, anche i fratelli musulmani ci invitano ad essere coerenti. Tante volte ci facciamo dei complessi che non ci permettono di vivere una vita vera.
Il dialogo interreligioso non significa giocare ai quattro cantoni: ciascuno viva invece la verità della propria fede. Che sia la verità della fede, però!
Se noi cristiani ci limitiamo a realizzare il presepe ma non facciamo della nostra abitazione una casa accogliente, che Natale vivremo? Da qui l’invito nel giorno di Natale ad accogliere un povero, a pranzo, ciascuno a seconda delle propria possibilità. Anche un vicino di casa o un anziano che sta male o è solo. Se apriamo le porte, allora la nostra casa diventa un presepe, un nido caldo accogliente. In caso contrario rischia di diventare un ambiente vuoto, formale e inutile.
La liturgia va vissuta, non semplicemente celebrata. Quando la liturgia diventa vita allora la vita diventa liturgia. E assume le movenze non di una marcia militare ma di una danza. E c’è tanto bisogno di danzare la vita”.
P. Guiducci / S. Mulazzani