Corre inarrestabile al box office il secondo episodio della saga di Avatar, giunto sugli schermi a 13 anni di distanza dal fortunato predecessore. Il traguardo dei due miliardi di dollari di incasso globale appare sempre più vicino e sicuramente è uno dei titoli che ha di fatto “riacceso” le speranze nelle sale cinematografiche, provate da una sfiaccante pandemia.
Del film di Cameron si è già detto e scritto molto: il ritorno su Pandora tra gli indigeni Na’vi, questa volta costruito in larga misura in ambiente acquatico (vecchio pallino del regista) è quanto di più spettacolare si possa vedere su un grande schermo, con il magistrale utilizzo della ripresa a 48 fotogrammi al secondo per le scene d’azione (consiglio: se potete scegliete la visione in 3D HFR, se la sala l’ha disponibile, non resterete delusi) e gli
occhi sgranati sono garantiti per le tre ore abbondanti di visione che il film offre.
Solo tecnica? No, c’è anche il cuore della vicenda, archetipi narrativi che confermano lo status di “classico” della storia cameroniana, con padri, madri e figli a difendere la propria specie e l’habitat naturale in cui vivono, con una condivisione estrema tra esseri viventi e mondo naturale. Profondamente ecologico, forse più del precedente (ci sono anche balene da salvare), il nuovo Avatar mostra al meglio le possibilità di un cinema che sa ancora stupire e non può fare a meno dell’elemento umano: senza il lavoro a monte degli attori i Na’vi, mirabili creazioni in CGI, non starebbero neanche in piedi.