Al Teatro Alighieri di Ravenna, per la Trilogia d’autunno, Muti ha diretto come secondo titolo un emozionante Nabucco
RAVENNA, 17 dicembre 2023 – Il Nabucco diretto da Riccardo Muti resta un vertice ineguagliabile per la capacità di scandagliare la partitura verdiana nelle sue pieghe più nascoste. Una lettura che armonizza in modo insuperabile gli aspetti statici e monumentali, che guardano al Mosè rossiniano, con il dinamismo dei grandi concertati, scanditi da quell’incalzare ritmico di straordinario significato espressivo che è una delle caratteristiche più innovative del primo Verdi.
Secondo titolo della Trilogia d’Autunno all’Alighieri di Ravenna, Nabucco ha riproposto la stessa formula collaudata il giorno precedente con Norma: ancora una scenografia virtuale – firmata dal visual artist Svccy, dal visual programmer Davide Broccoli, con il disegno luci di Eva Bruno – dove viene evocato il tempio di Salomone a Gerusalemme e, in seguito, un’immaginaria Babilonia.
Rispetto alla marmorea classicità del capolavoro di Bellini, in questo caso Muti punta sulla mobilità del dramma: perfettamente consapevole della portata innovativa – e addirittura rivoluzionaria – della partitura, riesce a trasmettere questa stessa consapevolezza ai giovanissimi orchestrali della Cherubini (le ragazze sono sempre più numerose, impegnate anche con strumenti un tempo considerati tradizionalmente maschili, dai fiati alle percussioni). I musicisti si sono immedesimati benissimo nel loro ruolo, assecondando ogni più piccola indicazione proveniente dal braccio del Maestro, orgogliosamente consapevoli dell’unicità di questa esperienza.
Muti, dunque, ha affrontato un’opera per molti aspetti oratoriale, articolata in blocchi monumentali (il libretto di Temistocle Solera non la suddivide nemmeno in atti, ma specifica ‘quattro parti’), esaltando le differenze fra le tinte musicali che definiscono i vari quadri ed enfatizzando i contrasti tra i momenti d’intimo ripiegamento e quelli politico-religiosi affidati al coro. Soprattutto, ha impresso alla musica una grandissima forza ritmica e un’energia travolgente, che – oltre a galvanizzare gli esecutori – arriva intatta al pubblico.
Se dagli orchestrali ha ottenuto una risposta ideale (si pensi all’assolo del bravissimo primo violoncello o all’ottima flautista già brillante accompagnatrice, la sera prima, di Casta diva), il direttore ha trovato pure nei due protagonisti personalità in grado di sintonizzarsi con la sua lettura. È il caso dell’espressivo baritono rumeno Serban Vasile, un Nabucco di scorrevole cantabilità, efficacissimo nella scena della follia. Ancor più incisiva Lidia Fridman, che affronta la spigolosa vocalità di Abigaille – personaggio diviso tra sete di potere e tormenti amorosi – potendo contare su un impressionante registro di petto, unito però ad acuti sempre penetranti. Evgeny Stavinski, pur essendo un basso un po’ troppo chiaro, riesce comunque a disegnare uno ieratico Zaccaria. Molto brava Francesca Di Sauro, che incarna una Fenena docile e, al tempo stesso, indomita. Il tenore Riccardo Rados, che nella Norma aveva affrontato con una certa sicurezza il breve ruolo di Flavio, qui è invece apparso sottodimensionato come Ismaele. Convincenti tutti i comprimari: Adriano Gramigni, puntuale negli interventi del Gran Sacerdote di Belo; Vittoria Magnarello (che la sera precedente aveva interpretato Clotilde), capace di ritagliarsi un bel primo piano nella piccola parte di Anna; Giacomo Leone, un Abdallo sempre a fuoco nei suoi pertichini. Magnifico il Coro del Teatro Municipale di Piacenza, molto ben preparato da Corrado Casati, che nella grande pagina del primo atto – lodare l’iconico Va, pensiero è persino scontato – ha dato un saggio della sua entusiasmante compattezza sonora.
Non c’è dubbio: si è trattato di un’esecuzione straordinaria, in grado di valorizzare al meglio un’opera che, non a caso, divenne una bandiera politica fin dal suo primo apparire nel 1842. Sicuramente un dramma dal valore catartico, oltre che attualissimo. In grado di aiutare a comprendere quegli scontri che continuano anche oggi, in forme neppure troppo diverse.
Giulia Vannoni