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Ascoltare senza farne un tabù

sessualità

Come nascono i bambini? Perché femmine e maschi sono diversi? Domande a bruciapelo, fatte con candore e curiosità, che riescono a mandare in tilt molti adulti. Eppure, parlare di sessualità con i figli è importante, e farlo con serenità e onestà lo è ancora di più. Come fare allora per superare l’imbarazzo e aiutare i ragazzi a fare scelte responsabili? Ne parliamo con Alice Bernardi, psicologa e sessuologa, responsabile del Centro per le Famiglie del Comune di Rimini.

Dottoressa Bernardi, qual é l’età giusta per cominciare a parlare di sessualità con i propri figli?
“Non esiste un’età giusta, la cosa migliore è assecondare la curiosità dei bambini, già dalle prime domande che possono arrivare a 2-3 anni. All’ingresso all’asilo o in occasione della nascita di un fratellino o di un parente, i bimbi cominciano a chiedere: Perché maschi e femmine sono diversi? o Come fanno i bimbi a uscire da pancia?. Del resto la sessualità fa parte dell’essere vivente fin da quando nasce e sperimenta le prime curiosità”.

E, i genitori come devono rispondere?
“Innanzitutto è importante trovare il momento adatto, restituendo il messaggio che si tratta di un argomento che merita il giusto tempo e spazio. Occorre rispondere in modo semplice e chiaro con un linguaggio adeguato all’età del bambino e alle sue capacità cognitive, evitando di procrastinare, eludere le domande o raccontare storie immaginarie come la favola della cicogna. Questo confonde i bambini e non soddisfa la loro curiosità. Servono risposte convincenti, pur non entrando in dettagli troppo tecnici”.

Concretezza senza troppi dettagli, quindi. Può fare un esempio?
“La cosa migliore è ancorare il discorso a qualcosa di concreto che il bambino già conosce. Ad esempio, alla domanda sulla differenza fisica tra maschio e femmina, si può rispondere partendo dall’atto quotidiano del fare pipì, gesto che conosce bene e che ha visto fare al babbo e alla mamma, per poi spiegare le differenze del corpo. Oppure, alla domanda come nascono i bimbi, si può raccontare in modo amorevole di come il papà abbia donato un semino, di cui poi la mamma si è presa cura. In ogni caso, la cosa fondamentale è trasmettere il messaggio che il concepimento non è un atto meccanico ma guidato da amore e rispetto reciproco affinché la sfera affettiva e sessuale non siano disgiunte”.

E, se le domande non arrivano?
“Fino alla scuola primaria non è detto che ci siano domande. In ogni caso, se un bimbo non chiede nulla, il genitore deve chiedersi se ci sono tabù in famiglia o se, semplicemente, in questo momento il figlio non è interessato all’argomento e provare a intavolare il discorso in modo molto semplice”.

Meglio che a parlarne sia mamma o papà?
“La cosa migliore è che a farlo sia la persona che si sente più a suo agio nell’argomento, in genere è il bambino a scegliere come interlocutore il genitore che sente più aperto. È bene che comunque i genitori si confrontino fra loro. La sessualità ci appartiene e sollecita dentro di noi tante emozioni, anche rispetto a come siamo stati educati”.

Arriviamo all’adolescenza?
“In adolescenza c’è una fase di allontanamento dai genitori ed è normale che ci si rivolga preferibilmente ai propri pari o ad altre fonti di informazione come il web, ma più si è parlato di sessualità durante l’infanzia più si sono sciolti tabù tra genitori e figli ed è possibile che il ragazzo torni a confrontarsi in famiglia. È importante gettare le basi del dialogo per tempo, quindi, così come è importante non limitarsi a dare informazioni dettate dalle nostre preoccupazioni rispetto a malattie sessualmente trasmissibili o gravidanze indesiderate, ma parlare di sessualità a 360°, includendo anche aspetti come il piacere, l’importanza della relazione e l’aspetto sociale, in modo che i giovani possano vivere in modo sereno e consapevole la sessualità”.

Dialogare apertamente sull’argomento non è sempre facile, però…
“Da una parte può esserci la tentazione di evitare di parlarne, dall’altro la presunzione di pensare che il solo fatto di essere adulti ci renda competenti e dispensatori di informazioni. Sarebbe bene, invece, partire dall’essere stati figli e dall’educazione ricevuta, chiedendosi quale messaggio si vuole trasmettere e ripensando alla propria sessualità. L’adolescenza, del resto, è un momento difficile anche per i genitori, che si preparano a lasciar andare il figlio, a separarsi da lui. Spesso, nel tentativo di rallentare questo processo, gli adulti tendono a parlare di sessualità solo in termini negativi, invece devono avere l’onestà di raccontarla pienamente. Per non trasmettere tabù e difficoltà di accettare il cambiamento occorre lavorare su di sé e portare avanti il dialogo, pur nel difficile contesto di ribellione alle regole condivise che può generarsi in adolescenza”.

Qualche consiglio pratico per aiutare il dialogo?
“Si può imbastire un dialogo sulla sessualità ricorrendo a mezzi in grado di avvicinarci ai ragazzi come film, canzoni e testi. I figli devono percepire il desiderio degli adulti di ascoltare i loro punti di vista in un contesto di dialogo e condivisione, dove l’adulto può sospendere il giudizio e accogliere le emozioni dei ragazzi. Se non è sufficiente e ci si sente in difficoltà esistono figure professionali a cui chiedere aiuto. Al centro per le famiglie i genitori possono confrontarsi tra loro all’interno di gruppi di parola, mentre i ragazzi possono accedere allo Spazio Giovani 360° presso il consultorio di Rimini e Riccione”.

Quali sono i rischi di un approccio scorretto all’argomento?
“Se gli adulti non preparano adeguatamente i ragazzi alla realtà, dove non è tutto facile e perfetto come presentato dai media, il rischio è che vivano le prime esperienze sessuali senza consapevolezza e con aspettative troppo alte, con conseguente chiusura e blocco evolutivo o, al contrario, reiterazione dei rapporti per sfidare la propria inadeguatezza, fino a non proteggersi, non rispettare sé e l’altro, fare scelte superficiali per sentirsi come gli altri. Spesso la parte meccanica è disgiunta da quella affettiva, compito dell’adulto è proprio quello di tenere insieme le due parti”.

E quando le relazioni corrono in chat invece che dal vivo?
“È importante parlare dei rischi e dei fatti di cronaca legati ad atteggiamenti di leggerezza sui social network per aiutare i ragazzi a sviluppare un senso critico rispetto al loro utilizzo. È, però, altrettanto importante riconoscere gli aspetti positivi di questi strumenti. L’adolescente ha bisogno di socializzare e la socializzazione passa anche dai media con innegabili vantaggi, come la possibilità di restare in contatto gratuitamente. La chat è cara ai ragazzi perché li aiuta nel primo contatto a vincere la paura del giudizio, l’insicurezza, l’adulto deve comprendere questo bisogno, non può limitarsi a regolamentare l’uso dei social network ma far capire che internet è solo un precursore e non sostituisce la relazione, che dopo un primo approccio virtuale va vissuta nel mondo reale”.

Romina Balducci