Di quadri raffiguranti Madonne e Santi se ne trovano in abbondanza sugli altari delle chiese di Rimini e dintorni, dove invece sono rari quelli dedicati ai grandi “misteri” della nostra fede: la natività, la morte, la resurrezione di Gesù. Forse perché la nostra religiosità si basa più sulla “devozione” e sul sentimento che sulla realtà della storia; e quei misteri sono appunto storia, e anzi sono parte essenziale di una grande storia di speranza e di gioia, ma che turba e che impegna: la storia della nostra salvezza.
Un itinerario che tocchi le raffigurazioni della risurrezione di Gesù conservate nel nostro territorio anziché da una chiesa deve cominciare dal Museo della Città, dove si trova l’immagine più antica, dovuta a Pietro da Rimini, un importante pittore riminese del primo Trecento. Si tratta di una tavoletta minuscola, dipinta con cura: su uno sfondo dorato mostra la figura altissima di Gesù risorto con in mano il labaro crociato; guarda e benedice le donne a colloquio con l’angelo davanti al sepolcro vuoto, mentre i soldati-guardiani giacciono ancora addormentati. Su una superficie di pochi centimetri, e con poche figure, il pittore è riuscito ad illustrare con fedeltà ed efficacia l’episodio narrato dai Vangeli. La raffigurazione faceva parte di una serie di scene che trattavano della passione e della resurrezione di Nostro Signore, ora perdute, collocata in origine sull’altare di una qualche sconosciuta chiesa medievale. Sembra che ai pittori del Trecento non sia mai stato chiesto di raffigurare la Risurrezione da sola, cioè come un episodio isolato, ma sempre all’interno di una narrazione, di una storia: come dimostrano i grandi cicli di affreschi e i dossali d’altare superstiti, interi o frammentari, ora conservati in vari musei. Ai pittori riminesi del Trecento però spesso è piaciuto raffigurare il Risorto – sicuramente dietro suggerimento di qualche bravo teologo – nella parte alta dei loro crocifissi, ad indicare che la storia di Gesù non si conclude con la morte, e che meditando sul suo sacrificio dobbiamo ricordarci della sua Risurrezione.
Per trovare la scena della Risurrezione isolata da ogni contesto e raffigurata da sola bisogna giungere al Rinascimento; allora il tema venne affrontato da molti grandi artisti, e cominciò a costituire il soggetto di pale grandiose. Ma non da noi, se ho cercato bene. Da noi troviamo solo un paio di modeste pale d’altare. La più antica è nella chiesa parrocchiale di Saludecio, ed è dovuta ad un manierista marchigiano un po’ rustico, che si è dato molto da fare soprattutto per rappresentare il tumulto generato nel gruppo di soldati presenti alla scena, abbacinati, sorpresi, anzi spaventati dall’incredibile splendore di Gesù che risorge. Questa pala – che in questo numero de il Ponte è riprodotta in copertina – è stata dipinta intorno al 1580 per la cappella del Santissimo Sacramento della chiesa parrocchiale, nel cui archivio è da poco tempo affiorato il frammento di un messale cinquecentesco con una stampa anonima evidentemente guardata e quasi copiata dal pittore. Anche un altro artista della zona, bravo ma poco conosciuto, quasi mezzo secolo dopo si era ispirato, semplificandola, alla stessa incisione (o al quadro da cui derivava quell’incisione) per una pala posta all’altar maggiore della chiesa parrocchiale di Montefiore. Si chiamava Silvio Ariani, era nativo di Montefiore e lavorava nella Valle del Conca nei primi decenni del Seicento. Quel quadro, sostituito nel dopoguerra da una tavola quattrocentesca con la Madonna della Misericordia, non esiste più e ora lo conosciamo solo grazie ad una vecchia fotografia fortunosamente ricuperata e qui parzialmente riprodotta.
Converrà dirigersi a Rimini, nel santuario della Madonna della Misericordia (che comunemente chiamiamo “Santa Chiara”, perché un tempo era la chiesa delle Clarisse), per trovare un’altra Risurrezione. Questa volta ben più raffinata delle precedenti, e dovuta ad un bravo pittore che ha lavorato per qualche anno a Rimini dall’inizio del Seicento alla fine della sua vita, nel 1609: Giovan Francesco Modigliani, detto “il pittor forlivese”. Il suo quadro è diviso in due parti: in alto raffigura Gesù che risorge in un nimbo luminoso, mentre in basso sono i soldati spaventati, relegati in un angolo e immersi in un’ombra dal sapore simbolico, e due santi francescani (sono san Bonaventura e sant’Antonio da Padova) che esortano i fedeli a meditare sulla risurrezione di Gesù.
Non ho presenti altre pale d’altare con questo soggetto nella nostra zona; ma voglio almeno ricordare il quadretto conservato nella chiesa di San Lorenzo in Correggiano (già presentato da il Ponte nel numero di Pasqua 2006): con una figura statuaria di Gesù, solenne, trionfante, e tuttavia dolcissima. E poi voglio ricordare che in tutti i quadretti che in genere fanno da contorno alle pale, abbastanza numerose, con la Madonna del Rosario, appare la scena della Risurrezione. Ce ne sono di veramente pregevoli a San Martino dei Molini, a Mondaino, a San Clemente, a San Giovanni in Marignano, a Valliano, a San Lorenzo a Monte, in Cattedrale e in tante altre chiese, soprattutto di periferia; e appartengono tutte al XVII e XVIII secolo.
Bisogna arrivare al tardo Novecento per trovare altre raffigurazioni pregevoli e originali di questo soggetto. Lo scultore Elio Morri lo ha trattato diverse volte, soprattutto in sculture in bronzo; si vedano per esempio il bel pannello del fonte battesimale della chiesa di San Girolamo a marina, e la figura della cappella Zannini nel cimitero cittadino. Anche al non dimenticato Guido Baldini si debbono preziosi rilievi in ceramica con la Risurrezione, conclusivi di Viae Crucis modellate per alcune chiese della Diocesi. Infine direi che vanno ricordati la grande e candida figura del Risorto di Guerrino Bardeggia che domina la chiesa di San Benedetto a Cattolica, e il Cristo dell’artista Ermanno Vites al centro della chiesa della Riconciliazione: una figura tormentata, questa, dolente, in verità più simile a quella del povero Lazzaro che a quella gloriosa del Cristo che trionfa sulla morte.
Non me la sento di ricordare, e forse non le conosco tutte, le opere eseguite nel secolo scorso e nel presente, che pur non mancano, e le tante noiose copie-derivazioni da icone bizantine che purtroppo vanno di moda oggi: segni di una nostalgia per un misticismo “alto”, ma estraneo alla nostra tradizione, e di una colpevole mancanza di coraggio dei “committenti” che hanno perso ogni fiducia negli artisti contemporanei.
Pier Giorgio Pasini