PERSONAGGI. Si è spento a 94 anni Armando Foschi, interprete della politica e della cooperazione riminese
Qual è il significato che ha avuto la presenza di Armando Foschi per la Chiesa riminese, il nostro territorio, per noi? In un vivacissimo testo di memorie da lui scritto sulla soglia degli ottant’anni, che porta il titolo Dal campo al parlamento e il sottotitolo Spigolature e aneddoti, si trovano queste parole: «Ripensando ora alla mia vita, mi sento a volte sospeso tra sogno e realtà: un mezzadro autodidatta, di spirito inquieto e un po’ ribelle, con ferma volontà… parte dal campo e raggiunge il Parlamento» e, poco prima, aveva scritto: «Dopo una vita di pendolare tra Rimini e Roma, durata nell’insieme 18 anni, sono rientrato stabilmente nella mia terra, dalla quale peraltro non mi sono mai staccato, anche quando mi trovavo lontano, senza poi sentire nel tempo successivo «la mancanza di Roma». Sono parole che aiutano a comprendere il senso di una lunga esistenza, fondata, a mio parere, su una triplice fedeltà: fedeltà alle proprie radici, fedeltà alla Chiesa, fedeltà all’impegno nel mondo.
Fedeltà alle proprie radici
Armando non ha mai dimenticato e non si è mai vergognato del duro lavoro dei campi, in un podere tenuto a mezzadria: «23 tornature, 7 ettari circa, a un tiro di schioppo dal paese, scosceso con molti appezzamenti di terreno di faticosa lavorazione, sia per la loro forma irregolare e di particolare pendenza, sia per la presenza di 400 ulivi secolari, disseminati anarchicamente in tutto il perimetro », il che non permetteva di usare le macchine agricole, ma solo attrezzi manuali: «tutto ciò comportava un enorme fatica nel lavoro».
Non si è dimenticato della famiglia di origine in cui si respirava un clima e dunque un’educazione alla fede, nella semplicità e nella tradizione, facendo però riferimento alla coscienza e ai valori umani, primo fra tutti la solidarietà verso il prossimo.
Chi fa il mestiere di storico e di antropologo troverà nelle pagine di questo libro molteplici elementi per ricostruire quella civiltà contadina che nel tumultuoso periodo del dopoguerra andava declinando, per l’abbandono soprattutto del lavoro agricolo delle giovani generazioni, attratte dalle luci delle città della costa; città che andavano sviluppandosi per l’incremento del turismo, delle piccole e medie industrie e dei nuovi mestieri.
Il mondo agricolo non era certamente un regno idilliaco e della pace sociale.
Da attento osservatore, con una scrittura scabra e concreta, Foschi ha descritto questo mondo e per la sua emancipazione, ha operato a tutti i livelli, a cominciare dalla rete di sevizi (il Segretariato per il popolo) creata da Armando a Coriano nel 1951 su sollecitazione e con l’apporto di un prete, don Ferruccio Zamagni, parroco di Sant’Andrea in Besanigo, un prete – osservava Armando – dall’aspetto poco elegante, con la tonaca lisa e scarpe grosse anche d’estate… «se non brillava nei colloqui, possedeva accanto ad una fede salda, idee in grande, coordinate in un progetto di pastorale sociale».
Il vertice di questo impegno lo si ebbe in parlamento quando Foschi partecipò, nell’apposita Commissione, alla elaborazione della legge che prevedeva il superamento della mezzadria e il rafforzamento della proprietà diretto-coltivatrice.
Fedeltà alla Chiesa e alla sua missione
Se dalla famiglia aveva ricevuto un’impronta cristiana, fu nella parrocchia retta per decenni da un antico seguace di Romolo Murri, don Guglielmo Mondaini, e dal successore don Michele Bertozzi, che Armando entrò direttamente nella vita della Chiesa, non solo partecipando ai momenti forti della liturgia, ma anche a tutte le attività formative dell’Azione cattolica, che nel dopoguerra ebbe momenti di grande visibilità. Seguì con attenzione, a livello nazionale e locale, i fermenti che serpeggiavano nei settori giovanili dell’organizzazione e che si manifestarono con le prese di posizione dei presidenti nazionali, Carlo Carretto e Mario Rossi, sensibili alle istanze sociali e culturali emergenti in anni di tumultuosi cambiamenti. Cosi come si sentì in sintonia con i risultati del Concilio Vaticano II che il vescovo Emilio Biancheri volle fosse applicato con molta determinazione nella nostra diocesi. La figura di un laico corresponsabile della missione della Chiesa – intesa come Comunione e come Popolo di Dio – attraverso l’immersione nel mondo di tutti, testimoniando con il ben fare, con il proprio quotidiano essere- per-gli-altri, la propria fede nell’amore di Dio in Cristo, era congeniale alla sua indole aperta e operativa.
Non negò mai il suo apporto a tante iniziative diocesane destinate a rendere più inclusiva e coesa la società riminese; parlo del Centro Zavatta, delle ACLI, della Papa Giovanni, della Caritas diocesana, della Fondazione Alberto Marvelli. Opere che manifestano tuttora l’amore della Chiesa particolare per i poveri, gli ultimi, i più indifesi. Per questo Foschi godette dell’amicizia e della fiducia di preti generosi, come don Oreste Benzi, don Luigi Tiberti, don Giancarlo Ugolini, don Filippo di Grazia e di molti altri, che hanno educato alla fede e all’impegno centinaia di giovani. Per questo è stato stimato dai vescovi che si sono succeduti dopo mons. Biancheri: mons. Giovanni Locatelli, mons. Mariano De Nicolò, mons. Francesco Lambiasi ed ora mons. Nicolò Anselmi.
Fedeltà al mondo
La sua fedeltà al mondo, alla città dell’uomo, come si usava dire, in nome del Vangelo e della dottrina sociale cristiana (aveva letto e riletto la Rerum Novarum e la considerava come sua principale ispiratrice e aveva riflettuto a lungo sulle encicliche sociali del secondo dopoguerra) si è palesata nell’impegno sindacale (dapprima nella repubblica di San Marino) e cooperativo per sfociare infine nell’impegno politico, verso il quale si era sentito attratto sin da giovanissimo. Ha percorso tutti i gradini all’interno delle istituzioni di governo, da aderente ad un partito, la Democrazia cristiana, che è stata per decenni l’asse portante della nostra vita democratica: come consigliere comunale, come consigliere provinciale (e assessore), come senatore della Repubblica (legato particolarmente a Zaccagnini, a Moro, a Donat Cattin), con l’impegno finale in una grande istituzione l’Enit (Agenzia nazionale per il turismo), che lo ha portato a girare il mondo, a conoscere popoli e culture diverse, per far conoscere a sua volta le bellezze del nostro paese. L’agire politico di Armando era basato su una valutazione razionale del possibile e dalla sofferenza per l’impossibile. Impossibile superare tutte le ingiustizie. Impossibile realizzare una società tutta pacificata, impossibile asciugare tutte le lacrime e tutti i dolori del mondo. Eppure se la politica non è salvifica di per sé – è un’illusione pensare che sia possibile un paradiso in terra – nei giorni della storia comune bisogna lottare come si conviene perché la terra sia alleggerita e la dignità di ogni uomo sia affermata, nell’attesa di un futuro radicalmente diverso, di “cieli nuovi e di terre nuove”, di cui ci parla la fede alimentando la speranza dei credenti. Tutto questo con uno stile ben caratterizzato.
Lui stesso ha scritto: «Sono grato al buon Dio per avermi donato …la predisposizione alla mediazione tra i contrasti e nelle posizioni fortemente rigide, grazie ad un comune buon senso, che può produrre risultati». Tra questi risultati vi è certamente l’amicizia sociale, di cui parla Papa Francesco, nella sua enciclica Fratelli tutti, amicizia con l’altro differente per idee e comportamenti, amicizia «che si costruisce nel dialogo perseverante e coraggioso che non fa notizia come gli scontri e i conflitti, eppure aiuta discretamente il mondo a vivere meglio, molto più di quanto possiamo rendercene conto».
Armando Foschi ci ha dunque insegnato molte cose nella sua lunga e coerente esistenza e di questo dobbiamo essergliene grati, sentirlo vicino e dirgli: arrivederci.
Arrivederci là dove tu ora cammini, caro Armando, «alla presenza del Signore nella terra dei viventi», come recita il salmo 114.
Piergiorgio Grassi