Da Rimini un appello per la pace ai conventi del mondo. E alla libertà religiosa. Un appello che si “alimenta” semplicemente di preghiera, silenzio e testimonianza. L’iniziativa “Appello all’umano” (il cui portale è: www.nazarat.org), compie tre anni. E la “catena” avviata a Rimini nell’agosto del 2014, da allora si è diffusa in diverse città d’Italia e all’estero, il 20 di ogni mese.
Promotore dell’iniziativa è la Fondazione Giovanni Paolo II di cui il riminese Marco Ferrini è direttore e anima dell’Appello.
Preghiera per l’umano, tre anni dopo. Vi aspettavate una vita così lunga?
“L’iniziativa della preghiera è nata casualmente nell’agosto del 2014 poiché non si poteva rimanere inermi di fronte all’evento drammatico dell’invasione di Mosul da parte dell’Isis avvenuta nella notte tra il 6 e 7 agosto di quell’anno. Non era possibile essere inermi di fronte alla distruzione e alla diaspora di un popolo cristiano che – da sempre – ancora prima dell’Islam – ha abitato le terre nella Piana di Ninive.
Sin dall’inizio ci siamo detti che la preghiera era il modo più significativo di stare di fronte all’accaduto e l’andare in piazza a pregare poteva avere il rischio di trovarci noi iniziatori da soli. Ma così non è avvenuto”.
Cosa è accaduto in questo triennio?
“L’iniziativa è cresciuta in maniera inaspettata e quasi per un passa parola si è diffusa. Non abbiamo assolutamente voluto strutturare organizzativamente il gesto per evitare di rendere il tutto formale e rigido. Abbiamo dovuto creare sulla carta un Comitato con un sito per i necessari collegamenti (www.nazarat.org). Ma innanzitutto è cresciuta la consapevolezza dell’importanza della preghiera. Abbiamo compreso che le forze che cambiano il cuore dell’uomo sono le stesse che cambiano la storia ed è il Signore che la cambia. È il Signore che lavora e non l’uomo. Confidiamo in Dio. Per questo la preghiera è l’affermare la Signoria di Cristo su ognuno di noi, è l’inizio del nostro cambiamento. Questo in Medio Oriente come da noi.
I nostri fratelli perseguitati alla domanda: «di che cosa avete più bisogno?», rispondono: «della vostra preghiera»”.
In questi tre anni abbiamo visto in Piazza un popolo che si è coinvolto fatto di semplici fedeli, ma anche di laici non laicisti, di appartenenti a varie parrocchie, associazioni o realtà ecclesiali. La preghiera è stata una forza unitiva.
Molte le testimonianze dirette: Card. Jean-Louis Tauran, padre Rebwar Basa, padre Mtaniuos Hadad, padre Bernardo Cervellera, Rodolfo Casadei, padre Firas Lufti, padre Bahjat Karakach, Samaan Daoud, il missionario laico Filippo Di Mario, il vescovo Mons. Yohanna Peetros Mouche e tanti altri. Particolarmente significativa è stata la lettera ricevuta nel maggio scorso dal Patriarca di Babilonia dei Caldei S.B. Louis Raphael Sako”.
La situazione di molti Paesi, e non solo Siria, resta difficile e tanti cristiani perseguitati e tante persone impedite di vivere la propria libertà sociale e religiosa. Cosa significa questo espandersi a macchia d’olio della preghiera?
“Attualmente la preghiera al 20 di ogni mese si svolge in diverse città italiane: Prato, Cesena, Siena, Andora (SV), Perugia, Busca (CN), Loreto, Cattolica, Roma, Portomaggiore (FE), Sassari, Milano, Cremona, Roma , Bologna). Ma è praticata anche all’estero: Lugano (Svizzera), Jos (Nigeria), Damasco (Siria), Erbil (Nigeria). E in contemporanea ci accompagnano nella preghiera 25 Monasteri di clausura in Italia e all’estero.
Questo espandersi fa cogliere che siamo di fronte ad una sfida che si fa sempre più drammatica. È la sfida cristiana: stare alla realtà secondo lo sguardo di Cristo che è il fondamento della pace. La pace non è duratura se non ci si appoggia alla consistenza ultima della realtà, cioè al Mistero che fa le cose, a Dio, al Padre.
La pace è una guerra, ma con se stessi”.
Tutto è partito da Rimini. A distanza di tre anni, come contate di proseguire l’iniziativa?
“Non so esattamente, sarà come Dio vorrà. Abbiamo avuto manifestazioni di interesse da altre città ma anche dall’estero: Spagna, Polonia, Stati Uniti, Brasile. Se c’è qualcuno che ci vuol mettere la faccia allora si diffonderà. È certo che la realtà del martirio è sempre più drammatica, i martiri oggi sono in numero maggiore di quelli dei primi secoli e a molti di loro è riservata la stessa crudeltà patita dai cristiani dell’origine. Pone a noi cristiani di essere noi stessi fino in fondo e recuperare quella identità ricevuta per grazia. Mette a fuoco il compito della missione: la fede si irrobustisce donandola.
In questo siamo grati a Papa Francesco che con il continuo richiamo pone la centralità della questione. “Il mondo odia i cristiani per la stessa ragione per cui ha odiato Gesù, perché Lui ha portato la luce di Dio e il mondo preferisce le tenebre per nascondere le sue opere malvagie” (Angelus 26.12.2016)”
Paolo Guiducci