Anfiteatro romano di Rimini – Bastano pochi passi, appena qualche scalino e si scendono 1900 anni in un baleno. Un balzo nella storia a due passi dal mare e al fianco di un simbolo dell’educazione e della solidarietà. L’Anfiteatro romano non offre più lotte tra gladiatori e spettacoli circensi – sepolti insieme al resto del manufatto – ma può regalare ancora suggestioni, storia e turismo. Più di quanto non stia facendo ora, e in perfetta coesistenza con il Ceis, il centro educativo italo svizzero. “Un’area archeologica che può convivere armonicamente con natura, solidarietà e preziosi esempi di innovativi spazi aperti per l’educazione. E tutto a portata di bambino”. Andrea Ugolini, professore di restauro architettonico all’Università di Bologna, è un riminese di 36 anni da sempre impegnato in ricerche sull’area su cui sorge l’anfiteatro. L’occasione è prima una tesi di laurea sulla conservazione del monumento antico, poi l’incontro con l’architetto Monica Maioli durante la stesura del volume Uno spazio che educa. “Mi occupo da sempre di manufatti allo stato di rudere e di strategie per la loro conservazione e valorizzazione e questa realtà era davvero troppo interessante ed unica nel suo genere”. Un anfiteatro romano, un giardino e baracche, in parte di prima della guerra, efficientissime. “Ma dove si trova in Europa una realtà così ben conservata!”.
Nel 1945 il Soccorso operaio Svizzero dona alla popolazione riminese fiaccata dai bombardamenti 13 baracche in legno con i relativi arredi smontabili. La missione di soccorso è guidata dalla giovane Margherita Zoebeli al cui fianco lavora al progetto di questa innovativa realtà il giovane architetto svizzero Felix Schwarz, poi il grande architetto paesaggista olandese Aldo van Eyck. Il complesso viene ampliato con la costruzione di un edificio in muratura noto come la “Casina”, e la “Betulla”, un fabbricato a firma dell’ architetto Giancarlo De Carlo. All’area dell’emiciclo dell’anfiteatro romano del II secolo d.C., la Fondazione Margherita Zoebeli ha dedicato una Giornata di studi nel dicembre 2015, “della quale si spera diavere al più presto gli atti”.
Ugolini, rompa gli indugi. Lei crede ancora nella coesistenza di anfiteatro e asilo italo svizzero?
“Certo! Il complesso del Ceis si configura come una fondamentale esperienza socio-educativa oltre che un importante esempio di architettura moderna che felicemente convive con l’antico”.
E uno scavo? O una seria operazione di ricostruzione?
“Non amo le ricostruzioni, se non quelle virtuali (anche per l’anfiteatro!), armiamoci di sano pragmatismo e pensiamo ad una diffusa quanto necessaria cura di ciò che la storia ci ha consegnato. Mi riferisco non solo all’anfiteatro ma anche alle tante vestigia romane della nostra città, molte sconosciute ai più… D’altro canto, «l’unica maniera per conservare il nostro patrimonio è la cura assidua e solo occasionalmente il restauro» …è scritto da tempo.
Rimini dispone di tante aree archeologiche. Ma mi creda, non mi risulta vi siano sistematiche azioni di manutenzione programmata ma solo puntuali interventi che difficilmente vengono finanziati… e che, purtroppo, non fanno «rumore» quanto un restauro che arrivi al popolare «più bel che pria»”.
L’eventuale spostamento del Centro le sembra quindi proponibile?
“Prendere le tredici casette di legno e spostarle altrove non è un’operazione indolore. E personalmente credo che la eccezionalità di questo luogo sia la coesistenza di «brani di storia della nostra città» che ci raccontano cosa siamo stati e cosa siamo oggi”.
Anche un Anfiteatro recuperato avrebbe la sua valenza storica, culturale e persino turistica. Diventerebbe un altro fondamentale tassello della Rimini romana.
“Guardando le foto dei restauri dell’anfiteatro si vedono tra le murature in elevato (perché ampiamente ricostruite) costruzioni in terra cruda oggi scomparse che un tempo dovevano essere rivestite di marmo. Quante ne saranno rimaste nella parte non ancora scavata? E lei sa quanto è difficile la conservazione della terra cruda all’aperto in un clima come il nostro? Verificare cosa sia ancora sepolto sotto le strutture del Ceis è un’idea affascinante, ma solo per valutare la consistenza di ciò che resta senza pensare ad una sua messa in luce”.
Ha in mente qualche soluzione per far rivivere l’anfiteatro?
“Il primo passo sarebbe quello di riconsegnare ai riminesi lo spazio antico. Penso a soluzioni paesaggistiche che potrebbero garantire una continuità visiva e spaziale con l’utilizzo di siepi e piantumazioni al posto delle solite recinzioni. La presenza di un custode, un pannello con orari di visita o un biglietto cumulativo per la visita della Rimini romana… In caso contrario, confidando nel senso civico delle persone, si potrebbe fare come accade in molte altre realtà europee dove si lascia libero accesso all’area senza preclusione alcuna”.
Nelle ultime stagioni, l’area è stata maggiormente vissuta. Le rappresentazioni estive della Legio XIII Gemina, ad esempio. Non potrebbe ospitare più spesso eventi o spettacoli, o perlomeno sostenere ad armi pari la “rivalità” con altri monumenti cittadini?
“L’uso da sempre garantisce la sopravvivenza dei nostri monumenti. Allora perché non ipotizzare di adoperare ciò che resta dell’antico per farlo convivere con sculture all’aperto o installazioni di arte contemporanea? Sarebbe davvero una bella scommessa”.
Paolo Guiducci