A Rimini una nuova produzione della popolarissima opera verdiana curata dal Coro Galli per il consueto appuntamento di Capodanno
RIMINI, 3 gennaio 2023 – Da quando è ripresa l’attività del Teatro Galli nell’ottobre 2018 dopo settantacinque anni di chiusura, nella pur esigua programmazione (a mala pena una decina di titoli) consentita dalla forzata interruzione per pandemia, compare ben due volte La Traviata. Anzi, volendo includere pure la versione da camera proposta da Noris Borgogelli nel marzo 2021, persino tre. Nel cast di quella andata in scena nel marzo 2019, poi, figurava addirittura il tenore Ivan Ayon Rivas, all’epoca esordiente poco conosciuto e oggi fra le massime celebrità internazionali.
Adesso La traviata è tornata nuovamente in palcoscenico, scelta dal Coro Galli per la tradizionale produzione operistica di Capodanno.
D’accordo che si tratta di un titolo popolarissimo, la cui vicenda – dal debutto del 1853 – non ha ancora perso nulla della sua attualità ed è capace di raggiungere qualsiasi pubblico, compreso quello che non ha alcuna dimestichezza con l’opera lirica. Però, alla radice di tale predilezione c’è un equivoco di fondo, secondo cui basta affidarsi alla musica di Verdi per garantire la riuscita di un’operazione: è vero in termini di botteghino, ma non necessariamente di qualità artistica; né basta un lodevole impegno organizzativo a compensare aspetti di uno spettacolo troppo spesso traballante.
Così, nella messinscena di Paolo Panizza, da alcuni anni regista di riferimento delle produzioni del Coro Galli (lo scorso anno aveva firmato un riuscito Don Pasquale), mancava un autentico lavoro sugli interpreti, lasciati spesso a se stessi. Eccessivo è apparso anche l’uso delle immagini per configurare i diversi ambienti, mentre alcune trovate visuali erano troppo scopertamente debitrici di regie illustri (da Willy Decker per l’orologio iniziale a Luca Ronconi per la cancellata finale), oltre che poco armonizzate tra loro. Nella replica di martedì 3 gennaio, poi, si è anche rischiato un brutto incidente quando, durante il brindisi, una bottiglia è rotolata lungo il palcoscenico cadendo nella buca orchestrale, senza colpire – miracolosamente – alcun strumentista.
Sottodimensionata l’Orchestra da Camera di Rimini, con i suoi pochissimi elementi, forse per contenere i costi. Non si tratta sempre di un difetto: basterebbe ripensare a quella leggendaria stagione di Città del Messico a cavallo fra gli anni quaranta e cinquanta – ben documentata in disco e oggetto di culto per i collezionisti – dove giovani cantanti che rispondevano ai nomi di Maria Callas, Giulietta Simionato, Giuseppe Di Stefano, Leonard Warren, Giuseppe Taddei e Cesare Siepi erano accompagnati nei più grandi titoli del melodramma italiano da una locale orchestrina da ballo, con risultati altamente professionali. Anche perché sul podio agivano maestri italiani di oscura fama, ma che conoscevano bene l’artigianato della concertazione.
Il direttore Stefano Pecci si è sforzato di ottenere sonorità corrette, apparse però poco idiomatiche tranne, forse, nei momenti di maggiore lirismo. Discutibili e spesso incoerenti i tagli – a cominciare dall’eliminazione dei ‘da capo’ nelle cabalette – limitati non solo a quelli di tradizione. È vero, ad esempio, che il finale del secondo atto, concepito da Verdi per le sole voci gravi maschili (Germont, Douphol, d’Obigny e Grenvil), d’abitudine viene rinforzato dall’intervento del coro: qui, però, l’unico risultato è stato metterlo in gravi difficoltà. Perché eseguire la cabaletta di Germont No, non udrai rimproveri, forse una delle pagine meno riuscite di Verdi, e ridurre invece lo splendido Addio del passato di Violetta a una sola delle tre strofe originali? Alcune scelte, poi, fanno quasi sorridere: ad esempio la fatidica espressione «la cena è pronta», di solito affidata a un corista, fatta invece cantare da Flora.
Protagonista il soprano Noemi Umani, che ha alternato momenti felici a qualche asprezza vocale. Accanto a lei il tenore Giuseppe Varano (già interprete di Don José nella Carmen del 2019 prodotta sempre dal Coro Galli) era penalizzato dalle troppe difficoltà nel sostenere il suono, mentre il collaudato Andrea Zese (Rigoletto nel Capodanno 2020) ha progressivamente mostrato i segni di una certa usura vocale. Tra i comprimari spiccava il dottor Grenvil di Luca Gallo per la sua solida emissione da basso, certamente il migliore dell’intero cast: peccato che in questa esecuzione al medico di Violetta non spettasse l’ultima battuta dell’opera (sacrificata nel nome dei tagli di tradizione), come invece previsto da Verdi.
Bravi e professionali i componenti del corpo di ballo CDF di Rimini e i due solisti della Compagnia RDL, impegnati nelle danze coreografate da Gabriella Graziano. Il loro contributo non bastava però a risollevare le sorti di uno spettacolo che si ascolta con l’orecchio non tanto rivolto al palcoscenico, ma con l’occhio puntato sull’orologio.
Giulia Vannoni