Nel febbraio 2000 (“Tama 748, Favole”) a proposito del nuovo ponte pedonale sul fiume Marecchia (dal costo di un miliardo e 360 milioni di lire), ricordavamo che 30 anni prima il Piano regolatore aveva previsto la costruzione di un ponte normale per collegare la nuova sottocirconvallazione di via Caduti di Marzabotto con la zona Nord di Rimini posta al di qua dello stesso Marecchia.
A metà degli anni Sessanta per quel Piano la città prese una di quelle cotte che lasciano un segno duraturo: l’anello di fidanzamento costò 650 milioni. Tutto il centro storico doveva essere smontato e rifatto, un’eccezionale monorotaia sopraelevata avrebbe risolto i problemi del traffico. La storia finì in un romantico abbandono. La tenera fanciulla aprì gli occhi, scoprì che il borsellino era vuoto per aver pagato i meravigliosi progetti, e troncò la relazione. Per sempre.
Oriana Maroni su quegli anni ha scritto: assieme al benessere “emersero anche i limiti e le contraddizioni legati al degrado ambientale, al disordine urbanistico, alla stagionalità occupazionale di quello che gli amministratori dell’ultimo secolo avevano scelto fosse il settore trainante dell’economia riminese”.
Sul finire del 1986 si pensò di togliere le auto dal Ponte di Tiberio, su cui purtroppo ancora oggidì passano indisturbati pedoni e ciclisti che infastidiscono (e molto) sia i rombanti motori a due ruote sia le debordanti autovetture a quattro ruote simili a minibus.
Nel 2000, a proposito del ponte pedonale sul Marecchia, più piccolo di quello per la sottocirconvallazione, ci permettemmo di osservare: a Rimini piace, per via del suo stesso nome, il “mini”, all’insegna del motto economico preferito nella nostra zona da mezzo secolo: “piccolo è bello” (la pensioncina, la piadina, il vicolino…). Cronache più recenti, parliamo dello scorso giugno, ci confermano nella nostra opinione, e scusate se ci diamo ragione da soli. A proposito del caffé letterario intitolato al “Giardino degli aromi” di Palazzo Lettimi, ci è stato spiegato dall’Assessore competente che esso è un angolo che sembra un atelier parigino.
Ci scusiamo per l’ardire, in virtù del solo fatto di esserci nati in Palazzo Lettimi, ma ci sembra una di quelle opinioni che il Manzoni avrebbe definito piuttosto strane che mal fondate, e che sinceramente a noi appaiono prive di qualsiasi riferimento reale. Le macerie dell’edificio restano macerie, nonostante le intenzioni di un cólto amministratore pubblico.
[Anno XXXI, n. 1091]
Antonio Montanari