Padre Bahjat Elia Karakach, è frate francescano della Custodia di Terrasanta. Originario di Aleppo, ha portato la sua testimonianza a Rimini, in piazza Tre Martiri, in occasione del santo rosario per i cristiani perseguitati, sedicesimo appuntamento organizzato (ogni 20 del mese alle ore 21.15) dal comitato Nazarat. Gli abbiamo rivolto alcune domande.
Padre Elia, lei è in Italia da 15 anni, a più di 3000 km di distanza dal suo popolo, martoriato, perseguitato, decimato. Come ha vissuto questa separazione?
“La comunione rende nulle le distanze. Sono quotidianamente in contatto con la mia terra. La gente umile, del popolo, con parole semplici mi aiuta a crescere nella fede.
Sotto le bombe, con la sete e la paura, si continua a vivere e ad avere fiducia. Il Medio Oriente non è solo un serbatoio di energia fossile, non esporta solo violenza, ma sa dare energia spirituale; bolle di violenze e guerre, ma è anche capace di donare fede, speranza e carità”.
Le è stato affidato un incarico a Damasco, partirà a giorni; con quali sentimenti si accinge a tornare in Siria?
“Torno col desiderio di condividere l’esperienza di dolore e di speranza dei fratelli cristiani che, seppur perseguitati, hanno scelto di rimanere, che non hanno lasciato la loro, la nostra terra. Un amico mi ha scritto: «<+cors>Perché fuggire? La Siria è come una madre inferma che non si abbandona mai<+testo_band>»”. C’è chi fa catechismo, chi visita gli anziani, i sofferenti; la vita continua. C’è chi sceglie di sposarsi nonostante la paura, perché confida in Dio e perché, per un cristiano, la massima dignità è portare la croce”.
Il 13 novembre la strage di Parigi.
“Il terrore ha bussato alle porte dell’Europa, lo stesso terrore che la Siria conosce da quattro anni. Non è solo la violenza che ci fa pena, è la morte assurda, quella che non ha senso. Ma i cristiani di tutto il Medio Oriente sanno dare un’interpretazione, guardando il dolore con gli occhi della fede e gli danno un senso, sopportano sofferenze grandi e traggono il bene dal male.
Le persone con cui sono in contatto vivono situazioni molto diverse, ma le loro parole hanno tutte lo stesso significato; c’è chi mi scrive: «Nella guerra sperimento la presenza di Dio che mi accompagna. Sono sicuro che è con me, che guida la storia verso un bene. Ho aumentato la mia preghiera; ogni giorno il Signore si affaccia da una finestra e si fa percepire»”.
Padre Elia, qual è il messaggio che Dio rivolge al mondo con questa guerra?
“È la stessa domanda che ho posto ai miei amici siriani; la loro risposta è la mia: anche nella guerra avviene la ricerca di Dio, presente nelle zone più buie. Non possiamo fare nulla senza la sua presenza e senza amarci gli uni gli altri non avremo mai pace sulla terra. Dio vuole scuotere la coscienza mondiale: è ciò che il Papa ha fatto e sta facendo. Ho chiesto ad una persona: «Cosa vorresti dire ai cristiani dell’occidente che non vivono la tua stessa situazione?». Ha risposto: «La vera felicità non è nel benessere materiale ma nel compiere la volontà di un altro. Svegliatevi, non lasciatevi manipolare dai messaggi delle grandi potenze. Senza Dio non si resiste al fondamentalismo. Spero che anche voi possiate sperimentare l’amore di Dio che ci fa prendere decisioni nette, non ci permette di restare in un limbo»”.
L’8 dicembre anche nella città martire di Aleppo, nella chiesa di San Francesco, a pochi chilometri dal fronte dell’Isis, sarà aperta la Porta Santa, porta di misericordia e salvezza; la scorsa settimana una granata è stata lanciata per colpire la chiesa, ma è esplosa in aria. La vita va avanti, come hanno detto padre Elia e Marco Ferrini, coordinatore del comitato Nazarat, al termine, nel ricordare che l’appuntamento di preghiera per i cristiani perseguitati avviene ormai in diverse città italiane ed anche a Lugano. Cita una frase che san Giovanni Paolo II disse nell’udienza del 12 settembre 2001, a poche ore dagli attentati alle Torri gemelle: “Se anche la forza delle tenebre sembra prevalere, il credente sa che il male e la morte non hanno l’ultima parola”.
Rosanna Menghi